lunedì 7 gennaio 2008

scritto il 30 Agosto 2004

Con la mente mi allontano sempre più dalla città eterna; di fatto sono già in viaggio.
Sto andando in Sud America.
Voglio sapere che tempo fa, cosa mangia la gente, cosa pensa, cosa fanno la sera.
Sto per avvicinarmi alla terra che diede i natali al Che, a Borges, al tango.
Ci sono ancora molti ostacoli da superare: gli esami, l’università, la certezza di avere un lavoro laggiù, ma il mio sogno è già iniziato.
Il mio cuore è già tra le Ande ed il mare, sto remando sul Rio de las Amazonas a bordo di una canoa Shuar.
Ho già degli amici laggiù ed una squadra di rugby.
Il mio lavoro mi porta in giro attraverso il Perù, il Chile, il Brasile, l’Uruguay e la Bolivia.
Sulle rive del lago più alto del mondo in Bolivia, stretto in una coperta per vincere il freddo, sulla superficie dell’acqua vedo la città eterna e gli antichi romani passeggiare al fianco degli Incas e dei Maya.
Ci sono Vestali e dei dai nomi strani come Quezalcoatl.
Con gli occhi guardo già Buenos Aires e le sue notti da favola, tra birre gelate e tanghi ballati per strada con ballerine sconosciute.
Nell’aria qualche verso di Borges: “…la vita è fatta di momenti: non ti perdere quello di adesso.”
Ricordo i momenti che ho passato prima di arrivare qua, quelli che mi restano e che mi accompagneranno in questa vita.
Rivedo una mattina di Agosto una sveglia che lampeggia numeri rossi, una colazione consumata con la donna dei sogni, la compagna di tutti i viaggi.
Torno a giocare con le ombre e le luci che danzano sul suo viso, odoro di nuovo la sua pelle pulita, l’aroma di tabacco misto a sapone della sua chioma.
La bacio ancora e trovo nuovamente quella sensazione di tenerezza che accompagna da sempre il suo ricordo.
Quella mattina ho lasciato una parte di me sotto le mani che mi hanno accarezzato e su quel viso che ho baciato.
Ora sono in Sud America e lei mi sta accompagnando nascosta in qualche angolo del mio cuore.
Ballo ora con delle sconosciute per le strade di Buenos Aires e cerco nei loro occhi l’immagine di lei.
Le nostre strade si incrociarono in un pomeriggio soleggiato di primavera alcuni anni fa e forse torneranno a unirsi come due serpenti corallo in amore: bellissimi e mortali.
Dall’America latina le scrivo le lettere più belle che abbia mai letto: “Sapessi com’è bello il cielo a Belgrano questa sera…”; ogni volta che c’è la luna nera quaggiù la immagino piena alle latitudini di Roma e mi viene in mente quando, per scherzo, le dicevo di non guardarla perché avrebbe potuto trasformarsi.
Ma se questa mia vita è uno spettacolo che sta andando in scena ed io sono l’attore protagonista, allora “the show must go on!”.
Mi sveglio ora nella mattine di Agosto, le stesse che avevamo diviso, e c’è la nebbia e fa freddo qui, a Buenos Aires.
Sia gli uomini che le donne hanno freddo.
I nostri corpi non sono che veicoli per le sensazioni, dissi una sera.
Ma non era tempo, non era luogo e non c’erano orecchie adatte.
Sogno di reincarnarmi all’infinito non per raggiungere l’illuminazione, ma solo per stare di nuovo con lei.
Nelle vacanze di Agosto, quando tutti lasciavano la città eterna e restavo da solo per le vie del centro a fare l’amore con Roma, pensavo che, forse, se si può amare una città come una donna allora, forse, si può amare una donna come fosse una città.
La si potrebbe percorrere ad ogni ora per guardarla sotto diverse luci e poi, ogni tanto, meravigliarsi scoprendone un aspetto nuovo, rimanere sorpresi di fronte ad un vicolo sconosciuto.
Se Roma fosse Buenos Aires e questa fosse Lei, allora l’amerei con tutto il cuore.
Farei così l’amore per la prima volta con la certezza di non rimanere deluso.
Bacerei ogni centimetro quadrato della sua superficie come se fosse la prima e l’ultima volta, con il fascino di una scoperta e la passione di un addio, per amarla tutta insieme in seguito con lunghi baci appassionati e sguardi fermi ed ammiranti.
Questo sogno non so dove mi condurrà.
Forse è un sogno di una notte di fine estate, popolato di fate ed esseri fantastici; la cosa più magica è il ricordo incredibile di quella mattina di dolcezza semplice che mangiammo insieme, inzuppandola nel latte e nel caffè e nascondendola nel cuore dei croissantes.
Ma adesso si suicida la notte e non so come salvarla.
E con essa torno a Roma, alla mia solitudine amata e solitaria.
Torno alle mie culle fatte di memoria e rose bianche, città mai viste e domani non ancora giunti.
Sono a via Margutta e sono vicine le luci dell’alba.
La voce gracchiante di un bel corvaccio dice: “Signore delle fate, svegliati! L’alba si avvicina! Dalla notte e dal silenzio giunge la mattina.”
Lancio l’ultimo bacio alla mia grandiosa amante sperando che il Ponentino lo trasporti sul suo viso per scaldarlo e farle sapere che lontano, più lontano nel tempo e forse vicino a questo momento, qualcuno le ha pensato.Lontano, più lontano nello spazio e forse nei pressi di questa aiuola, qualcuno le ha scritto.

Nessun commento: