domenica 10 gennaio 2010

come mi venne il mal d'africa


24/12/2009 km 55901
Travel mode: ON
Il tempo non promette nulla di buono sicché mi copro in ogni modo pronto per una trasferta difficile fino a Viareggio, dove trascorrerò il Natale con i miei genitori. Controllo il carico e spero di non essermi dimenticato nulla. Coperto da vari strati tecnici e poco tecnici (dal goretex alle mutande di lana), salgo in sella a Nerone e faccio rotta verso Nord lungo la SS1 Aurelia. La pioggia batte, prima piano piano con qualche goccia solitaria, poi sempre più intensamente e terminerà in un vero e proprio nubifragio negli ultimi 10 km di viaggio. Le gomme nuove fanno fatica e il posteriore spesso slitta perdendo aderenza, facendomi venire i sudori freddi sotto gli strati che mi separano dal mondo esterno. Sono l’unica moto in viaggio sull’Aurelia alla Vigilia di Natale sotto la pioggia battente. In questi casi sono sempre incerto riguardo a quello che pensa la gente dalle automobili, se mi ammiri come l’avventuroso centauro che non si ferma di fronte a nulla, oppure pensi “Guarda quel coglione….” Faccio una breve sosta in un autogrill per un toast ed un te caldo e prendo a chiacchierare con in barman e poi con sua figlia, giovane gnocca che tra qualche anno farà girare più di una testa. Il Pornoromanticismo è sempre in agguato! Gli ultimi km prima della meta sono da prova speciale di enduro, tra strade allagate tipo guado di un fiume in piena, buche nascoste dall’acqua, pioggia a secchi e la visibilità ridotta a zero. Mi affido al settimo senso, meglio noto come “culo” ed arrivo a casa dei miei genitori zuppo come un pulcino, in tempo per una doccia calda e per prepararmi per la cena della Vigilia. Il viaggio riprenderò il 26 Dicembre verso Genova dove mi imbarcherò alla volta della Tunisia.

26/12/2009 km 56278
Mi sveglio con calma e faccio colazione, Dopo essermi vestito e bardato contro il freddo, accendo la moto, saluto i miei genitori e parto verso Genova. Stavolta, per fortuna, non piova anche se comunque fa freddo. Genova dista poco più di 140 km e quindi me la prendo con calma. Ad un certo punto il GPS smette di funzionare come se non prendesse corrente: ho trovato il modo per occupare il tempo in attesa di imbarcarmi. Seguo le indicazioni degli operatori del porto e mi parcheggio accanto alla poppa del traghetto “Splendid” in attesa che inizino le operazioni di imbarco. Nel frattempo conosco un tunisino di nome Seif, la spada. Vive a Udine, sembra una brava persona; torna a casa dalla moglie perché sta per diventare papà. Mi racconta che è stato in cassa integrazione per un po’ e poi è finita anche quella. Poco dopo iniziano ad arrivare un sacco di moto. Tra queste Giada e Davide. Anche Giada ha un problema di corrente con il GPS. Con Davide scopriamo che è un problema di fusibili e risolviamo in fretta; con l’occasione do un‘occhiata anche al mio che si rivela essere un semplice contatto ossidato a causa dell’acqua presa da Roma a Viareggio. Saif mi lascia i bagagli e va a fare la spesa. Lo ritrovo a bordo della nave dove scambiamo due chiacchiere, qualche sigaretta e mi offre una birra presa al supermercato. Peccato che all’imbarco abbia incontrato anche un altro tunisino che vive a Milano, ha provato a vendermi Hashish, poi mi ha raccontato che andava in Tunisia solo per andare a puttane, che sono molto più a buon mercato che non in Italia (10 tutta la notte, se vi interessa). Saluto Saif e vado a fare due chiacchiere con Davide e Giada: si parla di moto, ovviamente! Bella coppia questi due: due cuori e sette moto! Conosco anche il silenzioso Alessandro, l’amicone Davide e il progettista Sergio. Una voce dall’alto parlante ci informa che dobbiamo recarci all’ufficio di polizia a bordo per il visto e anche all’ufficio delle dogane per il permesso di circolazione per le moto. Inutile dire che la fila da fare era lunghissima. Uno di noi si incarica di fare i documenti per tutti. Nel frattempo incontro Paolo di “Bi & Ti”, il concessionario KTM di Roma; tempo di un saluto e fugge in camera a dormire. Subito dopo sento Matteo Ginginacchi per telefono che mi manda il numero di cellulare di Bibo, il quale risponde dal bagno della nave dove sta producendo preziosi regali: tempismo perfetto! Bibo mi racconta che sta andando in Libia con un suo amico che farà da accompagnatore e mezzo di supporto al viaggio con un mezzo strano: un’ex piattaforma mobile lanciarazzi 6X6, residuato bellico NATO demilitarizzato ed adattato ai viaggi nel deserto. Li invece si farà il viaggio sulla sua KTM 690 modificata. Arriva l’ora di cena. In coda per il self-service conosco due motociclisti di Rovigo: Artemio, venditore e meccanico di moto da enduro e cross, ex pilota con limitazioni fisiche che lo hanno costretto a lasciare le competizioni, e Adi, informatore farmaceutico di origine libanese che vive da anni in Italia, divorziato con una figlia di 10 anni. Ceniamo insieme e mi invitano ad unirmi a loro per andare a Douz dove si tiene il festival del Sahara. Sembrano simpatici, magari li raggiungerò. Incontro di nuovo Seif che mi invita a fare una grigliata a casa sua, sulla costa, nel villaggio di Mahdia. Magari sulla via del ritorno passerò a trovarlo. Torno alla poltrona dove ho lasciato i miei bagagli e sento un accento familiare: dialetto della bassa bresciana. “ E alura?chi ta fet che?”. In una danza di gutturali, nasali ed aspirate che poco hanno a che vedere con l’italiano corrente, conosco due imbianchini della bassa bresciana in moto ed un geometra in pensione che viaggia in camper con la moglie. Mi raggiunge Davide alle poltrone dicendo che l’operatore di polizia non mi ha rilasciato il visto perché vuole vedermi in faccia. Vado nella sala dove si fanno i documenti e, nel giro di un’ora e mezza, ne esco con tutti i documenti. In coda conosco una bella signora genovese. Peccato che ci fosse il marito…Stanco per la giornata intensa torno alla poltrona, mi sdraio di traverso occupando quattro posti a sedere, gonfio il cuscino da campeggio e mi abbandono alle braccia di Morfeo, cullato dalla danza del traghetto sulle onde.

27/12/2009 Km 56431
Dopo una notte passata a cercare di dormire in posizioni sempre nuove, decido di lasciare la sala delle poltrone per andare a fare colazione. Lunga fila per il caffé della mattina. Pare sia un’usanza comune a molte popolazioni: italiani, tunisini, tedeschi, francesi, cechi, etc. Incontro Bibo, lanciato in un’accesa discussione sulla praticità di un camion piuttosto che un altro sulla sabbia libica. Poi esco e trovo Paolo del concessionario KTM che prende il sole e facciamo due chiacchiere sul ponte superiore esterno di poppa della nave. Mi chiama un amico dalla Germania per gli auguri e poi incontro Giada, Davide, Sergio, Davide Fun e Alessandro e si fanno altre due chiacchiere. Seif, l’amico tunisino, mi lascia il suo numero di telefono e rinnova l’invito per la grigliata da lui a Madia, sul mare. Dall’altoparlante della nave arriva l’avviso di lasciare libere cabine e poltrone. Ci si ritrova tutti nella sala del self-service a giocare a UNO in attesa di sbarcare dalla nave che ormai è entrata nel golfo di Tunisi. Le lunghissime operazioni di sbarco sono seguite dalle estenuanti trafile per i documenti che dobbiamo presentare all’ufficio di polizia ed alla dogana: che palle! Finalmente usciti dal porto, sbagliamo strada un paio di volte e poi andiamo verso l’albergo che avevo riservato via internet. Una carovana di sei moto si aggira per la capitale tunisina. Blocco i tassisti con il mio francese stentato per avere indicazioni, visto che Tunisi non è mappata sul mio GPS. Dopo un po’ di giri arriviamo all’Hotel Saint Gorge, dove alloggeremo per la notte. La prima cosa che faccio è andare in bagno. Accanto alla tazza del water noto uno strano marchingegno: un tubo flessibile con un ugello e un rubinetto e non capisco a cosa serva. Una doccia rigenerante mi leva la stanchezza del viaggio, ma, nel momento di asciugarmi una spiacevole sorpresa: una sgommata di merda fa bella vista sull’asciugamano fresco di bucato! Orrore! Prendo il mio asciugamano, mi vesto e poi scendo al bar con Davide e Sergio per bere qualche birra. I tunisini non vendono alcol, ma lo devono volentieri nei locali riservati ai turisti. Siamo gli unici tre turisti in mezzo a cinquanta Tunisi, musulmani non praticanti. Arriva l’ora di cena e la guida Lonely Planet consiglia di andare nella Kasbah. Prendiamo un taxi ed arriva la prima fregatura. Invece dei due dinari e dieci della corsa, si fa dare 21 dinari. Che je possino...Con qualche dubbio rispetto alla professione della madre del tassista, ci inoltriamo nella Kasbah di Tunisi passando per la Piazza del Governo. Nel dedalo di vicoli la guida LP è imprecisa, sicché chiedo ad un ragazzo delle indicazioni e questo ci accompagna direttamente tra le viuzze del, suk deserto con tutti i negozi chiusi fino a che incontra un personaggio singolare: è un ragazzo con una tunica di lana bianca, cappelletto bianco, calze bianche, pantofole crema, una tappetino arrotolato appoggiato sulla spalla sinistra ed una lanterna quadrata grossa come un casco da moto con dentro delle candele accese. Questo soggettone ci accompagna nei meandri segreti sino ad una porta antica di legno di cedro e bussa tre volte ai battenti, quasi fosse un codice. Dopo poco appare un giovane uomo in gessato, ingelatinato, con una terribile cravatta rosa che ci guida in una sala da mille e una notte. Soffitti intarsiati, colonne arabescate, tappeti, tavole imbandite, pareti ricoperte di piastrelle variopinte ed un cantante tradizionale che si accompagna con uno strumento a corde simile ad un Bouzuki greco mentre intona canzoni che fanno da sottofondo alla serata. Mangiamo couscous e pesce con te alla menta finale. I menù si leggono a partire dall’ultima pagina e nel locale servono solo acqua, bibite, te alla menta e birra analcolica. Sevizio spettacolare, da favola, ambiente da sogno, tutto per 33 dinari a testa! Circa 16€ per il miglior ristorante della Kasbah. Alla fine della cena il tizio con la lanterna ci riporta verso il taxi attraverso i sentieri segreti del mercato deserto. Arriviamo all’hotel con il taxi (stavolta paghiamo 3 dinari) e decido di smontare il DB Killer della moto. Domani collauderò lo scarico aperto attraverso la Tunisia ascoltando la vera voce del motore. E’ giunto il momento di coricarsi in vista della levataccia di domani.

28/12/2009 Km 56451
Ci svegliamo di prima mattina, prepariamo i bagagli e ci troviamo tutti nella sala per la colazione. Carichiamo le moto, andiamo verso il distributore di benzina (1,27 TD per lt.) e poi in cerca di una banca per cambiare gli euro in dinari tunisini. L’impiegato della banca parla italiano e ci fa servire da una sua collega (molto carina). Il cambio sta a circa 0,53€ per 1 TD. Fatto ciò ci salutiamo: loro vanno verso Gafsa, mentre io voglio fare il giro delle oasi di montagna che parte da Le Kef. Uscire da Tunisi si rivela un’impresa per via del traffico e della segnaletica stradale, ma il fido GPS segna la rotta e così riesco a navigare fuori dalla città. Vado in direzione di El Barth, quindi Dougga e El Krib. La temperatura scende, la quota sale ed un sole freddo dardeggia incerto nel cielo. I tunisini guidano come pazzi, con sorpassi azzardati che mettono a rischio tutti e manovre spericolate. Mi fermo per consultare le cartine, mettermi i guanti pesanti e fare una pisciatine a bordo strada. Poco prima di Le Kef incontro, fermi ad un bar, due motociclisti tedeschi (tedeschissimi, direi).Vengono dalla zona delle oasi e, dicono, è pieno di fango ed un po’ di neve; sconsigliano di avventurarmi da solo. Guardo le moto, sporche di fango, tassellate, pronte all’enduro pesante, poi guardo loro, tutti bardati con stivali da enduro vissuti e abbigliamento tecnico…se fossero stati due fighetti con le ruote da strada e il completino bmw probabilmente avrei sorriso ed avrei proseguito. Saluto Otto e Fritz, imposto il GPS verso la città di Sbeitla, per evitare di fare la statale, e parto in navigazione, fregandomene delle strade e della segnaletica, tagliando praterie e cavalcando piste umide: la sera prima doveva avere piovuto. Passo vicino a Dahmani, El Ksour, Rouhia. La povertà e la trascuratezza sono in netto contrasto con la capitale. Sembra di essere in Italia ai primi del ‘900. Sono quasi certo che la maggior parte dei bambini non vada a scuola e che i loro genitori siano analfabeti. Mi salutano quando passo urlando frasi in arabo per me incomprensibili. Mi fermo a chiedere informazioni ad un ragazzo per ritrovarmi circondato da un sacco di bimbi eccitati a causa della moto. Per scherzare mi allontano con la moto e loro mi corrono dietro: che carini! Saluto tutti e riparto. La strada per Sbeitla è una pista tutta dritta che incita ad aprire il gas. Appena butto un occhio sul tachimetro leggo 110km/h! Mi piglia un colpo e chiudo il gas tornando a velocità più modeste. All’ingresso di Sbeitla ci sono delle rovine romane ed un sacco di fuoristrada italiani parcheggiati fuori. E’ l’ora di pranzo e cerco un bar per mangiare. Faccio un paio di giri e poi mi ritrovo davanti un gruppo di moto parcheggiate dall’aspetto familiare: Giada, Davide Fun, Davide, Sergio ed Alessandro stanno sbracciando dal tavolino di un ristorante. Ci raccontiamo le avventure della mattinata, pranziamo e torniamo tutti insieme a fare rotta verso Gafsa. Riprendiamo a navigare tra strade asfaltate, fuoripista e sentieri sterrati che iniziano ad essere sabbiosi. Verso sera arriviamo a Gafsa e troviamo alloggio all’Hotel Luna. Decidiamo di andare a cena nel miglior ristornate della città che è caratterizzato da “un tripudio di mobili kitsch” come recita la guida LP. I tassisti guidano come folli e vediamo la morte in viso sia all’andata che al ritorno del tragitto Hotel-Ristorante- Hotel. Domani faremo il giro di Tamerza. Ogni tanto mentre viaggiavo, i pensieri vagavano ai sogni di quando ero piccolo e vedevo le foto degli avventurieri in moto sulla sabbia, per tornare alla realtà, vagando tra presente e passato in una danza spensierata. Quanto è piacevole pensare che domani possa succedere qualunque cosa e tu sei pronto ad affrontare tutto. Sia nel viaggio che nella vita.

29/12/2009 Km 56901
Dopo una notte insonne per via del freddo in una stanza con standard igienici assai distanti da quelli europei, ci troviamo tutti a fare colazione; quindi carichiamo le moto e facciamo benzina. Scopro che, non so bene perché, ma la moto ha consumato pochissimo: 23 km/litro di media! 440 km con 19 litri. Avevo ancora più o meno 5 litri nel serbatoio, un’autonomia di almeno altri 100 km. Si vede che la vicinanza al deserto fa proprio bene a Nerone! (avevo dato questo nome alla moto perché è arancio incandescente, come la città di Roma quando l’imperatore gli diede fuoco) Partiamo in gruppo e lasciamo subito l’asfalto procedendo in fuoristrada. Lungo il percorso troviamo vari ostacoli da superare. Il sentiero ad un certo punto è separato da un burrone che lascia uno spazio di circa tre metri di vuoto tra il punto dove finisce e quello in cui ricomincia. Il baratro è profondo circa sette metri, come se avessero fatto saltare la strada con dell’esplosivo. Ci lanciamo all’esplorazione, cercando il modo di riprendere il sentiero. Troviamo un pastore che ci indica la via per continuare, ma un lago ci separa dal proseguimento del viaggio. Faccio un tentativo di superamento costeggiando gli argini ed arrivo dall’altra parte, così decidiamo di portare dall’altra parte tutte le moto. Nel frattempo arrivano altri quattro italiani in moto che avevamo già incontrato sulla nave e si uniscono a noi fino a Moulares. Troviamo i primi tratti di sabbia. Le moto ed i piloti impazziscono nel tentativo di mantenere l’equilibrio., Sto per volare a terra, ma, per miracolo, riesco a restare in piedi. Quindi ricordo quello che mi hanno detto sulla guida su sabbia: in piedi sulle pedane, talloni bassi, peso arretrato sul codone, spalanco il gas e mi tengo leggero sul manubrio: magicamente inizio a galleggiare sulla sabbia. Sono solo piccoli assaggi. Nei giorni successivi ci saranno le vere prove del nove di guida su sabbia. A Moulares ci separiamo dagli altri quattro, che procederanno verso Tamerza, ed andiamo alla ricerca dell’inizio della famosa pista Rommel. Ci concediamo una breve sosta per mangiare una banana e bere un sorso d’acqua e poi si riparte. Scopriamo che l’inizio della pista è diventato una discarica a cielo aperto. Su una lingua di sabbia perdo l’equilibrio e vado a terra. Lo stivale mi protegge il piede, ma si taglia la sella, cosa che mi fa incazzare come una faina. La pista Rommel con i suoi suggestivi panorami riesce ad addolcirmi. Il tracciato è immerso in una vallata costituita da stranissime formazioni rocciose a guisa di canyon. All’orizzonte si vede luccicare il lago salato di Chott el Jerid. Lungo la strada incontriamo una coppia che era sulla nave, lui su Africa Twin e lei su DRZ. Si uniscono a noi sino all’inizio della superstrada che porta a Tozeur. All’imboccatura della statale ci separiamo dalla coppia di motociclisti e facciamo rotta verso Tozeur. Giungiamo in città a metà pomeriggio. Mi stupisce per la sua vitalità e per i suoi colori. Un sacco di negozi dai colori sgargianti e pieni di gente che chiacchiera si alternano ai caffé dove si accumulano le persone per giocare a carte. Sulla città spicca il minareto da cui il muezzin, subito prima del tramonto, lancia il suo richiamo ai fedeli. Ragiono sul fatto che nella cultura araba non esisteva l’orologio, in quanto il tempo veniva scandito dal Muezzin e dalla preghiera, cinque volte al giorno. Come nei racconti orientaleggianti in cui i personaggi si danno appuntamento durante la preghiera della sera, quando tutti sono riuniti a pregare e nessuno può origliare la loro conversazione…Tozeur è senza dubbio l’immagine di ciò che mi aspettavo di trovare nel Nord Africa. Ci mettiamo alla ricerca di un hotel, ma pare siano tutti al completo, sia per la stagione turistica che per il festival delle Oasi, che tuttavia non ho ben compreso cosa sia. Lascio il gruppo e parto con Sergio alla ricerca di una sistemazione per la notte e troviamo un simpatico alberghetto in centro per 35 TD a testa. Di certo la sistemazione più pulita di tutte quella sin ora visitate. Peccato che il portiere sia figlio di una gran paracula…Ci facciamo la doccia e poi a spasso per al cittadina. Andiamo a cena in un ristorante dal nome molto suggestivo: Le Petit Prince. Il locale è arredato con quadri fatti con la sabbia colorata che rappresentano la storia di Antoine de Saint Exupèry. Ci fanno accomodare ad un tavolo che si trova sotto il quadro che rappresenta l’incontro del Piccolo Principe con la Volpe, il simbolo dell’amicizia e dell’unicità dei rapporti tra le persone. Per la prima volta ho l’occasione di assaggiare la carne di dromedario: buonissima! Sembra un’ottima fiorentina. Cosa peculiare del locale è che servono vino tunisino. Non mi fa impazzire questo “Haute Mornag”, almeno è vino! Una bella luna tonda, piena e luminosa illumina la nottata, spuntando tra le palme. Dopo la cena mi viene il mal di collo e dovrò prendere il mio OKI della buona notte. Compro una bottiglia di acqua nella bottega vicino all’albergo per 0,5 TD e mi reco al bar dell’albergo a farmi prestare un bicchiere. Quando torno per restituirlo vengo bloccato da due tunisini ubriachi che vogliono fare due chiacchiere. Parlano un italiano masticato, ma con il mio francese stentato e tanta buona volontà riusciamo a capirci. Loro amano l’Italia e dicono che gli italiani sono brava gente. Lavorano come saldatori in un cantiere a Porto Marghera. Vorrebbero offrirmi da bere, ma gli spiego che ho appena preso la medicina e declino l’invito. In qualche modo riesco a staccarmi da loro e ad andare in stanza. Sto crollando dal sonno e domani mi aspetta il giro del lago salato di Chott El Jerid fino a Douz, e la maggior parte del percorso è in fuoristrada. A volte penso alla rosa che ho lasciato sul mio pianeta, ai vulcani inattivi e ai baobab che potrebbero invaderli. Poi penso che la rosa ha le sue spine per difendersi, i vulcani non erutteranno prima del mio ritorno ed il baobab non avranno tempo di infestare il mio pianeta in così poco tempo. Quindi torno alle volpi e ai geografi, re o uomini d’affari. Da qualche parte ci sarà una rosa, unica tra milioni di rose tutte uguali.

30/12/2009 Km 57099
Un sole caldo fa capolino tra le fessure delle finestre al risveglio. Preparo i bagagli e scendo a fare colazione mentre attendo che gli altri siano pronti. Amo questo momento di silenzio con la passione di una coppia di amanti, con il piacere furtivo di chi rischia di essere scoperto da un momento all’altro. Quando gli altri scendono carichiamo le moto e partiamo verso Nefta. Nella piccola cittadina facciamo benzina e scopro che la media si è abbassata notevolmente: 12 km/l! Imbocchiamo una pista lunghissima e tutta dritta che circumnaviga il lago salato ed invita ad aprire il gas sino ad arrivare ai resti della scenografia del Episodio IV di Star Wars, il primo ad essere uscito. Facciamo qualche foto accanto alla casa dei genitori adottivi di Luke Skywalker e poi riprendiamo il viaggio. Inizia un percorso che attraversa le distese di sale del lago, tutto dossi e completamente dritto. Metto la quinta e mi immedesimo nei piloti dei grandi rally africani. Comincio a saltare in uscita dai dossi, ad impennare su ogni asperità. Mi vedo in quei video con le riprese aere dei piloti. Mi diverto come un pazzo! Giada con il suo 950 Adventure (che sul cavalletto è più alto di lei) si diverte a fare qualche salto. Che dire…bel manico! Ci fermiamo in uno sperduto paesello di nome Ghidma per mangiare verso le due del pomeriggio. Diventiamo in breve gli idoli dei bambini del paese. Li facciamo salire sulle moto, indossare i caschi e sentire il rombo dei motori. Alla fine ci chiedono se abbiamo un quaderno…nessuno di noi ha nulla da regalargli purtroppo…Arriviamo a Douz verso sera ed impazziamo per trovare un posto per dormire. Le camere sono tutte occupate a causa del Festival internazionale del Sahara, che richiama tutti i popoli del deserto per quattro giorni per corse di dromedari, balli e canti tradizionali, oltre ad un consueto mercato. Alla fine alcuni amici motociclisti, con cui avevamo fatto un pezzo di strada il giorno prima, incontrati in città ci presentano un loro amico locale, tal Mahamoud, il quale ci offre alloggio a casa sua. Lungo la strada incontriamo tantissime persone a cavallo, con i dromedari, con carretti trainati da cavalli o muli o asini, tutti in processione verso il festival. Molti di essi indossano un pastrano di lana di cammello con tanto di cappuccio: ho trovato la tonaca dei guerrieri Jedi! Fatta la doccia vado in paese con Alessandro a comprare la birra per la cena. In due, senza casco, a bordo di Nerone, con una cassa di birra sul portapacchi sembriamo due scippatori. Passiamo una piacevole serata sulla terrazza della casa dove siamo ospitati, cenando, bevendo birra e chiacchierando. Domani ci attende la traversata del deserto da Douz a Ksar Ghilane. Meglio andare a dormire per essere ben riposati per le fatiche dell’indomani.

31/12/2009 Km 57331
L’ultimo giorno dell’anno inizia di prima mattina, quando lasciamo Douz per compiere la traversata nelle ore più fresche della giornata. Imbocchiamo la pista per Ksar Ghilane, un’oasi che si trova nella punta Nord del Grande Erg Orientale. Da subito il percorso si presenta ostico per noi, neofiti della sabbia. Giada dopo pochi metri cambia il suo 950 Adventure con la LC4 400 di Davide Fun che, gran pilota, porta il bisonte, non senza difficoltà, sino all’oasi. Finalmente il mio battesimo della sabbia. Seguo nuovamente le indicazioni degli amici per la guida sulla sabbia. Improvvisamente capisco a cosa serve la mia moto. Lei è nata per questo, come un pesce per stare nell’acqua. In piena estasi di moto e pilota, inizio a galleggiare sulla sabbia. Sergio con il suo 990 Adventure ha qualche problema e continua ad insabbiarsi a causa delle borse e del bagaglio eccessivo; torniamo spesso indietro ad aiutarlo ad uscire dalla sabbia e a risollevare la moto. Lungo il percorso incontriamo altri motociclisti e fuoristradisti su ogni mezzo: Jeep, Unimog, Defender, etc. Ci fermiamo al primo dei tre Caffè che fanno da waypoint sulla pista. Il Cafè “Port du Desert”, dove troviamo un signore con un pick-up che carica i bagagli di Sergio, Davide Fun, Davide, Giada ed Alessandro sino a Ksar Ghilane. Accanto al caffé c’è una tenda da cui esce un personaggio di cui abbiamo tutti sentito parlare nelle storie e che rappresenta l’immagine del deserto: un Tuareg. Alto, slanciato, con una tunica lunga sino ai piedi, il capo velato dal turbante che gli ha fatto meritare il soprannome di “uomini blu”. Un popolo berbero del Sahara, con una struttura sociale matrilineare di religione islamica, ma con alcune modifiche peculiari. Le donne hanno una libertà maggiore rispetto ad altre culture islamiche, e tra l'altro possono divorziare dal marito. Quando ciò si verifica, dal momento che le tende sono di proprietà della donna, l'ex-marito si ritrova senza un tetto e deve cercare ospitalità presso parenti di sesso femminile. Queste ed altre sono le note che caratterizzano questa popolazione nomade del deserto. Il Tuareg vende alcuni oggetti di artigianato che decido di acquistare. Tra questi un velo blu per coprirsi il capo secondo la tradizione. Il Tuareg mi mostra come indossare il turbante sulla testa e d’improvviso divento un nomade del deserto in piena regola. Dopo poco riprendiamo la pista e, nel pomeriggio, ci imbattiamo in un cordone di dunette alte circa tre metri l’una. Sergio trova difficoltà a superarle. Io stesso mi insabbio una volta. Come mi avevano spiegato butto la moto su un fianco, acchiappo i cerchi e la trascino fuori dalla sabbia molle, il fantomatico fesh-fesh, quindi la rialzo per ripartire. Per fare meno di un km la carovana impiega circa un’ora. Ripartiamo e prendiamo un ritmo più costante. Inizio a saltare con la moto sulla sabbia. Le dune sono strane. Da un lato salgono dolcemente, spazzate dal vento costante del deserto. Dall’altra sono tagliate e vanno giù a picco con dislivelli che variano dai cinquanta centimetri ai due metri. Salgo sulle dunette fuori dalla pista e mi trovo spesso a saltare sulla sabbia per superare il dislivello del lato tagliato delle dune. La cosa è estremamente divertente con la mia moto. Alla fine della giornata ci attende l’ultimo tratto di saliscendi sulla sabbia, evitando un gruppo di persone a cavallo ed alcuni piloti scriteriati a bordo dei quad. Arriviamo a Ksar Ghilane assolutamente provati dalla giornata di sabbia. All’ingresso dell’oasi c’è la famosa pozza di acqua calda dove la gente fa il bagno. Troviamo un sacco di amici e conoscenti arrivati per trascorrere l’ultimo dell’anno in mezzo al deserto. Troviamo alloggio in una tenda con brande e coperte. Un gruppo di coreani gira per il campo…sono arrivati anche qui. La cena è accompagnata dalla musica tradizionale intorno al fuoco fatto con la legna di palma. Un gruppo di sei musicisti neri vestiti di bianco con un gilet rosso e il fez, suonano flauti, tamburi e campanelli ballando tutti insieme. Ma sono troppo stanco per apprezzare e mi allontano verso la mia branda prima di mezzanotte. Mi addormento vestito verso le 11 e 30 e mi risveglio verso le quattro del mattino. Il campo è immerso in un silenzio magico. La luna piena splende luminosa tra le palme. Esco dalla tenda. Fa freddo. Dai 30 gradi del giorno la temperatura è scesa ai 2-4 gradi della notte. Faccio due passi fuori da Ksar Ghilane, lontano dalle luci dei campi per incontrare il deserto e la sua stellata. Mi trovo ad osservare un paesaggio mozzafiato. Tante, tantissime stelle si spartiscono con la luna il compito di illuminare il cielo della notte nel deserto. Le dune, gialle di giorno, nella notte si tingono di grigio tenue e di nero. Come una bestia feroce accovacciata, il deserto mi osserva, affascinante e pericoloso. Ricordo il Piccolo Principe nel deserto: “Non si vede e non si sente niente. Eppure qualche cosa risplende in silenzio... Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde un pozzo in qualche luogo.” E ancora: "Sì, che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile". Ho avuto ciò che volevo da questo viaggio. Torno in tenda, mi spoglio, metto il sacco a pelo e mi infilo al calduccio, sognando traversate a bordo di dromedario tra le dune dormendo di giorno e viaggiando di notte, seguendo le antiche vie disegnate dalle stelle, in compagnia di un Tuareg.

01/01/2010 Km 57470
Stamane ce la prendiamo con calma. Faccio colazione e cambio il filtro dell’aria. Lavo la calza copri filtro con la benzina. L’Air Box ha accumulato un po’ di sabbia, ma la protezione ha retto bene ed il motore non ha mangiato la rena. Incontriamo gli amici che avevamo lasciato a Douz. Ci raccontano che hanno lasciato le moto a Douz ed hanno noleggiato dei motorini tunisini: Motobecane, Peugeot e MBK, i veri mezzi del deserto. Poi si sono fatti la traversata sulla sabbia…matti come cavalli! Ci fermiamo a fare benzina in un baracchino che ci versa il liquido nei serbatoi dalle taniche: un vero rifornimento da deserto. Imbocchiamo una pista che dopo poco diventa sabbiosa e, memori dell’esperienza del giorno prima, si decide di percorrere un sentiero più semplice per i due bicilindrici. Il paesaggio cambia. Mano a mano che ci allontaniamo dal deserto, la sabbia e le dune lasciano il posto alle rocce e alle pietraie. Giada crepa il serbatoio destro in una caduta. Davide Fun si adopera per una riparazione con il bicomponente e un pezzo di camera d’aria. Passiamo da Chenini, città che ha dato il nome ad una delle lune del pianeta di Luke Skywalker. Nella città ci sono le case troglodite e uno Ksar (un granaio) fortificato. La città è famosa anche per la Moschea dei Sette Dormienti, ma non andiamo a visitare nulla di tutto ciò e proseguiamo verso Tatatouine.Gli ultimi chilometri sono molto suggestivi e l’asfalto si snoda tra i canyon e le montagne dai toni cangianti alla luce del tramonto. E’ strano fare nuovamente asfalto dopo tutta quella sabbia. Arriviamo a Tatatouine a metà pomeriggio e troviamo alloggio in un albergo molto carino e pulito. La città in realtà è un borgo di quattro strade. La cosa più strana è che è pieno di barbieri e pasticcieri. Il dolce tipico è il “corno di gazzella”: una sorta di rotolo di noci, datteri e frutta secca con tanto miele. Anche oggi tutti a letto presto sfiniti.

02/01/2010 Km 57585
Lasciamo il paese facendo rotta verso Matmata. L’idea è quella di attraversare le montagne in fuoristrada cercando il percorso con il navigatore. Infatti dopo poco ci perdiamo in mezzo al nulla. Dopo varie ispezioni esplorative decidiamo che l’unica soluzione è abbattere un muretto di sassi, costruito a completamento di quella che sembra essere una diga o un argine. Tempo di abbattere il muretto ed appare un contadino berbero con degli occhi verdi di una bellezza inspiegabile a chiedere (in arabo) cosa stessimo facendo. Gli spieghiamo che ci siamo persi e che appena fossimo passati avremmo ricostruito il muretto. Sicché, una volta passati dall’altra parte, ci troviamo interpretare la parte di una squadra di muratori rumeni e ricostruiamo il muretto abbattuto poc’anzi. Dopo poco la strada ricompare e diventa un sentiero scorrevole e molto guidato. Dietro una curva, inspiegabilmente, mi si gira la moto e mi trovo a terra. Secondo la legge di Murphy mi si rompe l’unico pezzo che non avevo portato come ricambio: la pedalina sinistra del cambio. In qualche modo riesco ad ingranare la marcia ed arriviamo a Matmata. Nell’omonimo albergo passiamo la serata a giocare a UNO. Giada ha più culo che anima. Nel bagno dell’albergo trovo per la seconda volta nel viaggio l’asciugamano con una sgommata di merda.

03/01/2010 Km 57740
Oggi ci attende la lunga tappa verso Nord di avvicinamento a Tunisi. Tutti abbiamo la sensazione che sia trascorso almeno un mese da quando abbiamo lasciato l’Italia. Ci avviamo verso El Kef.Passiamo di nuovo da Gafsa. In una stazione di benzina smonto la leva del cambio e vado dal meccanico. Lui ripara solo gomme bucate. Gli spiego cosa voglio fare e mi indica di usare gli attrezzi. Blocco la leva in una morsa, con il trapano faccio un buco e poi chiedo al gommista dove posso trovare una ferramenta. Questo mi fa cenno di accompagnarlo. Attraversiamo la strada ed entriamo in una via secondaria. Varchiamo la porta di un capannone sgangherato e dentro vedo due torni e un tizio che sta lavorando con la fiamma ossidrica. Si spiegano in arabo, quindi bloccano la leva su una morsa, con un maschio filettano il buco che avevo fatto e poi infilano un dado con tanti bulloni. Rimonto la leva e provo la moto: perfetta. Con questa riparazione da tre dinari tornerò fino a Roma. I lavori da fare alla moto aumentano: cerchio anteriore, olio, filtri, leva del cambio, tubo del freno a disco anteriore destro da sostituire, sella da ricucire, protezione serbatoio sinistra da sostituire…vabbhè, avevo messo in contro la possibilità che succedesse qualcosa del genere. Ripartiamo verso El Kef, ma dopo poco lo stomaco brontola e facciamo tappa in un chiosco di kebab lungo il percorso. Ci devono essere delle scuole vicine vista la quantità di adolescenti in giro. Tre ragazze entrano nel negozietto e ordinano. Mentre aspettano ci guardano interessate e ridacchiano tra di loro. Faccio un sorriso alla meno brutta (quella senza baffi) e questa diventa rossa e ride con le amiche. Mangiamo il kebab sprezzanti del pericolo del cagotto in agguato e ripartiamo verso El Kef. Arriviamo nelle prossimità della città verso il tramonto che tinge di rosa le montagne che volgono verso l’Algeria. Ci avviciniamo con il tramonto alla sinistra e le ombre della moto che danzano sui muretti e sugli alberi alla destra. E fa freddo. La città appare alle luci della sera come una cascata di brillanti adagiata sul fianco di una montagna. Troviamo un hotel carino e con il riscaldamento. Qui fa davvero freddo! Vado in bagno e svelo il mistero delle sgommate di merda sugli asciugamani e dei tubi con il rubinetto accanto alle tazze del water. Bastava mettere in relazione le due cose. Credo che il tubo con il rubinetto sia la versione araba del bidet, ma non vedendo dove cade il getto d’acqua, al momento di asciugarsi può succedere di lasciare un ricordino sull’asciugamano. Questa scoperta mi farà mettere sul chi va la per ogni mio futuro viaggio in cui incontrerò il fantomatico tubo con il rubinetto! Cena, partita a UNO e poi a letto sotto 12 coperte con il termosifone a cannone.

04/01/2010 Km 58186
Il viaggio sta per finire. Ho ottenuto ciò che volevo: staccare del tutto con la mente dalla quotidianità, fare tanto fuoristrada e il battesimo della sabbia. Il Sahara sentirà ancora parlare di me e di Nerone. Lasciamo El Kef seguendo le indicazioni che ci hanno dato per visitare le terme romane. La strada si inerpica su una montagna nella foresta di El Kef e termina nelle prossimità delle rovine. Forse chiamarle rovine è riduttivo visto l’ottimo stato di conservazione delle piscine termali. Talmente ben conservato che si vede un bel pannello solare fare mostra sul tetto. Le terme danno su una romantica vallata con un fiume. Partiamo verso Tunisi e nel primo pomeriggio entriamo nel caos del traffico metropolitano per tornare allo stesso hotel della prima sera. Lasciamo le moto nel cortile e i bagagli in stanza, quindi prendiamo un taxi e andiamo alla Kasbah. Dalla piazza del governo entriamo nuovamente nei vicoli dell’antico mercato dove ci aveva guidati il curioso omino con la lanterna la prima sera. Variegati e variopinti negozi stracolmi di gente e turisti si accalcano uno sull’altro. I venditori richiamano dentro i loro regni offrendo te e mostrando tappeti, gioielli e souvenir. Finiamo a visitare la terrazza sopra uno dei negozi. I muri sono coperti di maioliche tinte con temi arabescati dai molti colori. Ogni tanto si intravede qualche lavorazione marmorea a memoria dei fasti del passato. Osserviamo il panorama della città dall’alto. E le sue contraddizioni. Davanti a noi gli antichi minareti di Tunisi danno bella mostra, mentre sotto di noi , sui tetti della Kasbah, si ammassano i condizionatori e le antenne paraboliche. Abbandoniamo la Kasbah ricolmi di souvenirs e regalini per gli amici. Passiamo l’ultima sera insieme tra le birre Celtia, la grappa di fico e le carte, quindi ci corichiamo per la notte pronti per lasciare l’Africa all’indomani.

05/01/2010 Km 58400
La mattina facciamo colazione insieme per l’ultima volta prima di salutarci. Appena partono gli altri, rimonto il DB Killer che avevo smontato in quello stesso cortile all’inizio del viaggio Accendo la moto e Nerone emette un suono soffocato, quasi triste. Il viaggio volge al termine. Carico i bagagli e mi getto nel traffico dove, non senza difficoltà, riesco a trovare la via per raggiungere il porto di “La Goulette”. Sbrigo le operazioni doganali per l’imbarco – stavolta molto più semplici che all’andata – e faccio amicizia con Vania e Giovanni, una coppia di simpatici fiorentini a bordo di un’Africa Twin. Sono al quarto viaggio in Tunisia.

06/01/2010 Km 58430
Il traghetto procede lento su un mare di olio verso la sua meta ed io rimugino sul viaggio, sui suoi significati e sui suoi insegnamenti. Quando attracca al porto saluto gli amici e percorro gli ultimi 70 km da Civitavecchia a Roma al trotto veloce. Alla fine il contachilometri totale segna 58511 km. Fine del viaggio sotto casa, salutando i negozianti e scaricando per l’ultima volta il bagaglio, il borsone da 50 litri che è stato il mio mondo in questo viaggio randagio.


tutte le foto si possono vedere qui:
http://picasaweb.google.it/psychopororomantico/Tunisia200910?authkey=Gv1sRgCP7Jpv7Y3p6-Iw#

http://picasaweb.google.it/tapporosso/Tunisia2010#

http://travel.webshots.com/album/576217983HFRxAv