sabato 11 settembre 2010
fuori come balconi nei balcani
Fuori come balconi nei Balcani"
venerdì 27 agosto 2010
Concerto in La diesis per tasselli e graticole.(parte 1)
Voglio raccontarvi la storia di come dieci sconosciuti divennero amici; la storia di dieci moto e dieci città. Si può pensare fosse nato tutto per fare un viaggio, ma in realtà era tutta una storia di tasselli strappati e graticole piene di carne arrostita.
Uno strano anno è trascorso, denso di nuovi incontri, vecchie emozioni redivive e avventure di ogni sorta. Molti paesi hanno visto il mio passaporto attraversare i loro uffici di frontiera. Germania, Tunisia, Inghilterra, USA, Spagna, Honduras, Panama, Salvador…Adesso sono in partenza per una nuova avventura sulla sponda balcanica del Mar Adriatico, a cavallo del mio fido destriero Nerone, in compagnia di nove sconosciuti di cui sono noti solo i nomi. Nei giorni precedenti sono stato a Barcelona da un’amica accompagnato da una principessa, alla scoperta di Gaudì, Picasso e Dalì, in giro in barca a vela, cucinando gnocchi per i miei ospiti catalanes y gallegos, a zonzo con una piccola custom per i reconditi porti al confine tra Catalogna e Francia; poi sono sbarcato ad Alghero, terra di pirati, navigatori e brava gente. Ho lasciato la principessa in quell’isola a gustarsi il sole, ho bucato il mio orecchio sinistro in memoria dei filibustieri e corsari che solcavano quelle acque, e sono tornato a Roma per prepararmi ala partenza per Crna Gora.
7/8/10 Roma km 66261
I preparativi hanno preso tutta la serata, parte della notte e del mattino tra vestiti, ricambi per la moto e attrezzatura da campeggio. Alle otto di mattina mi sveglio e carico le ultime cose sulla moto. Nerone è pronto per quest’avventura con le gomme nuove, un bel tagliando e le valigie di alluminio cariche; il GPS si accende e comincia a disegnare la lunga traccia di questo viaggio. Parto per Ancona ricordando quando Domitilla, la mitica vespa rossa romana, era il mio cavallo in altre avventure. Prima da solo facendo rotta verso l’Azerbaijan e poi con un grande amore sulla sella posteriore in Grecia. Con lei siamo stati in Austria, Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia e poi per Roma tutti i giorni. Abbiamo viaggiato con vari motori, facendo rodaggi e con cilindri nuovi, con tante modifiche e pochi bagagli. Adesso Nerone mi ha portato tra le sabbie del Grande Erg Orientale e, carico come un mulo, mi sta portando verso nuovi orizzonti. Camminiamo allegri sull’asfalto e il motore canta con un basso continuo degno di Stockhausen, che fa da sottofondo alle stonate canzoni urlate dentro il casco. Cullati dal sole passiamo attraverso Lazio, Umbria e Marche. I cartelli stradali recitano gli affascinanti nomi dei comuni italiani, ricchi di storia, poesia e tradizioni. Alla fine dovremmo essere in dieci moto a fare questo viaggio per enduro stradali, tra le nere montagne del Durmitor, le tracce del Rally di Albania e gli sconosciuti paesaggi macedoni. Gianluca lo conosco già un pochino e so che, nonostante la sua rigidità, è una persona di cui mi posso fidare abbastanza. Manè l’ho incrociato in viaggio e sembra un bravo ragazzo, molto tranquillo e disponibile. Quando arrivo ad Ancona li trovo entrambi agli uffici del porto ad aspettarmi, con le moto cariche a riposare sotto il sole, in attesa di essere imbarcate sul traghetto che da Ancona porterà a Bar, in Montenegro. Arriva Stuart, l’uomo celeste, di pessimo umore perché teme di perdere il traghetto. Tranquillo e simpatico eppure capace di reazioni sanguigne e irrazionali. Arrivano poi la bionda Vlasta, il moro Max e Fabio. Vlasta l’ho incontrata in Tunisia, sulla pista per Tozeur, sempre a bordo del sul DRZ. Ora è qui alla ricerca di pace e di se stessa. Max e Fabio non li conosco affatto, ma comincio subito a scoprirli. Riusciamo ad imbarcarci sulla nave e cominciamo a chiacchierare.
Mentre parliamo cerco di capire i limiti e le potenzialità dei compagni di viaggio. Tutti vogliono rilassarsi, qualcuno è in cerca di avventura, altri hanno fame di nuovi paesaggi. Manè sa che andrà incontro ad un autunno difficile lavorativamente e vuole staccare la spina. Segue il gruppo e ne rispetta la dinamica. Vorrà fare la scopa durante il giro per gustarsi il paesaggio e scattare fotografie (bellissime!). Max ha lo sguardo assorto, come se avesse molti pensieri nella testa a distogliere l’attenzione dal presente. Fabio è timido e discreto all’inizio, come se stentasse a lasciarsi andare. L’uomo celeste sembra un po’ estraneo alle logiche di gruppo, ma spero riesca ad integrarsi presto. Vlasta è persa nel suo mondo, con la testa rincorre gli avvenimenti che hanno sconvolto la sua vita nell’ultimo anno. Saprà gestire il fatto di essere l’unica donna con nove uomini? Gianluca è un lupo della steppa, gregario, ma solitario. Seguirebbe il gruppo solo finché questo si allineasse alla sua idea di viaggio. Ma dubito lascerebbe il gruppo, poiché da esso fa dipendere il viaggio stesso. Domani dovremmo incontrare Pasquale, Bibo ed Alessio in Montenegro. Vedremo cosa ci riserverà la sorte. La nave è piccola, ma molto piacevole. Tutti i miei viaggi cominciano con un rilassante traghetto. In fin dei conti il mio paese è in mezzo al mare e i traghetti mi riportano alla storia dei miei antenati veneziani, al commercio e all’esplorazione. Il mare ci culla tranquillo, incapace di arrabbiarsi con un sole così bello. Osservo il tramonto di questo sole che si tuffa nel mare per illuminare altri lidi e svegliare atre persone. Al lobo dell’orecchio sinistro luccica l’orecchino di Alghero. Ora inseguo le origini di una nonna Tzigana, Montenegrina o forse Albanese, figlia di allevatori di cavalli nomadi. Chissà che sotto le ombre delle nere montagne di Crna Gora o tra i boschi selvaggi di Shquiperia non ritrovi qualcosa del mio passato in queste terre a me ignote come le mie origini. Mal che vada mi recherò in Calle dell’Amore degli amici, in Calle dei Marrani o sul Ponte delle Maravegie in cerca una porta sul fondo di quelle corti, e me ne andrò in altri bellissimi luoghi. Ma vediamo come procede questa avventura che puzza di tasselli, fango e polvere, prima di lasciarla in cerca di una nuova, prima di aprire una delle tre magiche porte di Venezia e fuggire in un’altra favola. (315 km)
8/8/10 Bar Km 66576
Ci svegliamo presto per scoprire che la nave è in puntuale ritardo sulla tabella di navigazione di circa due ore. Salgo sul ponte a gustarmi la vista della costa che si avvicina progressivamente alla nave. Fa caldo, ma lo sento davvero solo quando la nave attracca al molo e mi trovo in coda per scendere nei garage vestito di tutto punto con protezioni, giacca e stivali da moto. Quando infine scendiamo mi fermo nel piazzale del porto ad aspettare gli altri, mentre Gianlupo solitario si affretta ad uscire dall’area di transito. Quando arrivano gli altri si presenta il primo problema: l’uomo celeste ha la gomma posteriore a terra. Ci spogliamo, armiamo di pazienza e applichiamo il nostro ingegno per sollevare la moto. Con leve, sapone e acqua smontiamo la ruota e cambiamo la gomma.
All’uscita del porto troviamo Pasquale con la sua xlv 750 rd01, la mamma delle Africa Twin che hanno solcato i deserti africani dei grandi rally. Ci racconta la rocambolesca storia di come stava per perdere il traghetto ed ha gabbato le guardie portuali facendo carte false e raccontando mezze verità. Almeno stavolta non ha perso il traghetto. La prima tappa è dal benzinaio. La verde costa 1,2 €, mentre la rossa, che in Italia è ormai scomparsa, cosata 1,18 €. Iniziamo la traversata costiera verso Nord per raggiungere il luogo dell’appuntamento con Bibo ed Alessio, gli altri due elementi del gruppo, che sono sbarcati a Split, visto che sulla nave per Bar i posti erano esauriti. Dopo qualche chilometro ci fermiamo a mangiare cevapi, una sorta di polpettina di carne alla griglia, prodotto tipico locale. Bevo per la prima volta la birra nazionale, la Nik Gold, la pale lager prodotta a Nikšić, seconda città del Montenegro dopo Podgorica. Molto piacevole! Ripartiamo attraversando Budva, Kotor e le altre località balneari frequentate da Bielorussi, Montenegrini e Serbi. A causa delle ragazze in costume che passeggiano sui marciapiedi rischiamo di fare vari incidenti. Superata la prova dei sederi a mandolino in perizoma e della lunga coscia (roba che Eracle e le Sirene ci fanno una pippa), riusciamo ad entrare nel fiordo e a renderci conto delle bellezze della natura in questo luogo. Arriviamo a Morinij, al campeggio dove ci raggiungeranno gli altri, e piantiamo le tende. Scaricati i bagagli ripartiamo per una breve escursione nei dintorni, ovviamente in fuoristrada, mente aspettiamo che arrivino gli altri. Cominciamo a salire finché incontriamo una bella sterrata che porta alle antenne in cima alla montagna sopra il fiordo, a 1500 metri. La vista è mozzafiato.
Mentre scendiamo Fabio fora la gomma anteriore. E ci fermiamo a sostituirlo. Verso sera giungiamo al campeggio dove, nel frattempo, sono arrivati Bibo ed Alessio. Pochi chilometri prima del nostro destino, Manè buca la ruota anteriore. E siamo a quota tre forature nel primo giorno di viaggio….Una doccia fredda e poi tutti a cena insieme. Dieci motociclisti ad un tavolo che cercano di formare un gruppo per la vacanza. Verso mezzanotte ci infiliamo nelle tende, stanchi per la giornata intensa. (172 km)
9/8/10 Morinij Km 66748
Smontiamo le tende, andiamo a fare colazione e poi tutti in sella. Facciamo rotta verso Žabljak, nel parco naturale de Dormitor, la montagna più grande del Montenegro, costellata di jezero, laghi. La strada sale a picco sul fiordo, tutto sembra andare per il meglio, ma le sorprese sono sempre in agguato. La moto di Pasquale, detto Squalo, cessa di funzionare e comincia a girare ad un cilindro. Ci fermiamo in un piazzale e gli esperti smontano la moto e dai sintomi cercano di estrarre una diagnosi. In questa sosta ognuno fa qualche può: Vasta e Max prendono il sole, Gianluca guarda l’orizzonte, Manè e l’uomo celeste si guardano intorno. Alessio, Bibo e Squalo smontano bobine, candele, fanno test, e dibattono sull’utilità del wd 40 sui contatti elettrici. Bibo lo usa da anni, mentre Squalo dice che è un isolante. Da questo si evince che è un ingegnere: in teoria sa tutto ed in pratica non sa fare niente. Alla fne concludono che la pompa della benzina è rotta. Viene smontata, presa a calci, martellate, gli vengono sussurrate parole magiche, ma lei non ne vuole sapere nulla di ripartire. Scendo in paese in cerca di un elettricista, ma senza risultati. Bibo, che si guadagna il soprannome di Piccolo Grande Uomo (anche se non c’è Ombra Silenziosa in giro a battezzarlo), crea un artefatto con un tubicino castrato sul serbatoio, escludendo la pompa elettrica, roba che MacGyver se la sogna di notte. E la moto riprende a funzionare. Arriviamo a Nikšić e cominciamo a cercare una nuova pompa. Mi ritrovo a girare con un meccanico per tutta la città con un caldo bestiale. Dopo avere visitato vari posti dove avremmo potuto trovare la pompa, un tale Mišo mi fa parlare con un meccanico di nome Veljko che parla italiano. Dice che ha una pompa che può andare bene, ma si trova a Podgorica. Raggiungo gli altri e, mentre mangiamo, io, Squalo e Gianlupo Solitario decidiamo di partire alla volta della capitale in cerca del pezzo di ricambio. Ci diamo appuntamento a Žabljak con gli altri che, nel frattempo, dovranno trovare posto per la notte. Partiamo a ritmo sostenuto sulla strada di montagna fino a trasformare il trasferimento in una prova speciale di Moto GP. Un honda 750, un ktm 640 ed un ktm 950 sfrecciano a 120 km/h sulle curve che portano alla capitale. Arrivati in città chiamiamo un meccanico che ci da appuntamento un’ora dopo. Andiamo alla ricerca di una gomma posteriore per Squalo, ma senza successo. In compenso conosciamo Viktor, montenegrino che parla un po’ di italiano. Si fa in quattro per aiutarci e, alla fine, ci porta all’appuntamento per comprare la pompa. La gomma dovrebbe arrivare in un paio di giorni. Lasciamo la capitale per raggiungere gli altri sul Durmitor. La strada sale nel tramonto fino a 1800 metri. Quando scende la notte ci troviamo su una stradina di montagna con scarsa visibilità nonostante i faretti supplementari accesi. Quando arriviamo a destinazione, ci uniamo agli altri per cenare. Hanno trovato uno chalet di montagna in affitto a ridosso del crno jezero, il lago nero. 10 € a notte per persona: spettacolo! Ci alziamo da tavola un po’ alticci e crolliamo nel letto stanchi morti.
10/8/10 Žabljak Km 67100
Ci svegliamo con calma e ci prepariamo per andare a caccia di sentieri in fuoristrada tra le montagne. Quando li troviamo siamo rapiti dalla bellezza dei panorami. Strade lunghe e scorrevoli invitano ad aprire il gas, mentre la vista delle vette e dei prati invita a fermarsi.
Squalo è rimasto al campo a montare la pompa nuova sulla moto, mentre l’uomo celeste, nel frattanto ribattezzato bocca celeste in onore a De Andrè, è rimasto a risolvere certi suoi problemi esistenziali. In testa al gruppo Alessio, ormai divenuto Capitan Findus a causa della rigogliosa barba e della somiglianza, Gianlupo, Max-senza-nick ed io, seguono Vasta, Fabio e la scopa autonominata Manè. Manè assomiglia incredibilmente ad un personaggio di Star Wars Episodio 1, tal Jar Jar Bink.
Ci fermiamo a pranzo in un rustico molto carino gestito da un signore che parla due parole di francese. Scopriamo che si possono fare escursioni di rafting e canyoning sul fiume Tara. Il riprende ed andiamo ad infilarci in una stradina che termina in fondo al Canyon del fiume Tara.
Ci divertiamo a fare qualche scatto mentre passiamo un facile guado in velocità. E poi si riparte. La cartografia indica che ci dovrebbe essere un sentiero sulla destra. Siamo a 1900 metri. Il sentiero non c’è, ma decidiamo di provare comunque una scalata. Arriviamo in cima è proseguiamo a piedi sino alla vetta a 2000 metri circa. Il panorama si apre su una vallata con una gola coperta di alberi. Le pareti delle montagne sono ripidissime e poi dolci verso il basso. Una vota sazi della visione torniamo verso la strada. Appena tocchiamo l’asfalto troviamo tre pullman carichi di turiste francesi che ci chiedono di fare un giro in moto. Gli uomini del gruppo fanno qualche commento sugli italiani e le donne all’estero…Rientriamo a casa, doccia e poi a cena. La bellezza del paesaggio ci invoglia a prolungare la nostra permanenza un altro giorno nel Durmitor. Io e Fabio andremo a fare rafting, mentre gli altri andranno a fare un giro in fuoristrada. Squalo deve ultimare la sua riparazione e Bocca Celeste deve risolvere un problema con la pinza del freno anteriore spanata e bloccata per poter sostituire le pasticche esauste. Cena pantagruelica seguita da una connessione ad internet per vedere cosa accade nel mondo. Mando una mail ad alcuni amici e parenti. Scopro che Katie sarà in Grecia. Chissà, magari la raggiungo… (131 km)
11/8/10 Žabljak Km 67231
Colazione insieme e poi il gruppo si separa. Io e Fabio andiamo verso il centro turistico in paese per fare un giro in gommone sul fiume Tara. 50 € dalle 10 alle 14, pranzo incluso. Seguiamo la strada che si snoda verso il fiume sino a raggiungere il punto di partenza del tour. Ci danno un giubbotto salvagente ed un baschetto. Inizia il giro. Siamo in dieci oltre al timoniere. Sulla barca olandesi, italiani e serbi. Il canyon visto dal fiume è meraviglioso. Le rocce salgono da
12/8/10 Žabljak Km 67384
Carichiamo le moto pronti a salutare il Durmitor facendo rotta verso un altro parco, Biogradska Gora. Ci arriviamo facendo sentieri di montagna che si inerpicano sulle rupi per poi scendere al livello dei fiumi. L’entrata del parco costa 2 €. Affittiamo 4 bungalow nell’unico camping sul lago e poi alcuni vanno a fare trekking, altri si riposano, mentre io vado a farmi un giro in off con alcuni altri. Il sentiero che scegliamo sale sulla cima dell’anello di montagne che circondano il lago, per fare il periplo dello stesso sulle creste e sui crinali. E’ stagione di raccolta dei mirtilli (o delle more, non ho ben capito) e, lungo la strada, incrociamo vari gruppi di raccoglitori all’opera. Al crepuscolo io e Capitan Findus ci connettiamo ad internet e facciamo la spesa per la grigliata. Jar Jar Bink accende il fuoco, Gianlupo-solitario-in-cerca-di-branco fa la brace ed io preparo la carne da arrostire. Si uniscono a noi un montenegrino, due ragazze ed un ragazzo francesi. Squalo ed alcuni altri iniziano a fare pratica con le lingue internazionali. Cantiamo intorno al fuoco e ci scoliamo una bottiglia di rakija. Squalo, che normalmente è un essere vivente lento, tanto che si meriterà il soprannome di Squalo Tartaruga, a causa del suo torpore operativo, si risveglia e diviene attivo come non mai. A causa della grappa e dei canti non prestiamo attenzione all’istinto venatorio risvegliato nel nostro Squalo tartaruga. Al mattino successivo scopriremo che ha fatto gran caccia. (
13/8/10 Biograska Gora km 67542
Faccio velocemente colazione in capeggio e poi facciamo rotta verso Shquiperia, l’Albania. Alcuni via strada, altri in fuoristrada. Ci ritroviamo in un borgo dove facciamo sosta pranzo in un ristorante di nome “Napoli” Peccato che il nostro napoletano, lo squalo appunto, ci abbia lasciati per una passeggiata romantica con
14/8/10 Koplik Km 67767
Ci mettiamo in marcia ansiosi di scoprire questo paese. Da quel che sembra le strada secondarie di Shquiperia sono simili alle nostre carrettiere di montagna, tratturi sterrati che collegano i paesi tra di loro. In pratica per spostarsi da un posto all’altro devono fare fuoristrada per forza! Il paesaggio è brullo e selvaggio, la vegetazione è disomogenea. Poco dopo pranzo arriviamo nei pressi di un paese di nome Thethi, nel parco del Theth, con tanto di torrente, cascata, torre di reclusione e chiesetta romanica ricostruita. Ad un bivio conosciamo una coppai di Varese, Paolo e Laura, che viaggiano a bordo del loro Difender 90 rosso. Veniamo assaliti da una torma di bambini che ci vogliono affittare una stanza per la notte. In particolare uno, al massimo di otto anni, mi stupisce per il suo inglese, un livello molto alto rispetto ai bambini della sua età ed anche rispetto a tanti adulti. Così decidiamo di passare il resto della giornata e al notte in casa di una signora del paese. Accanto alla strada scorre un torrente che diventa la lavatrice per i nostri panni sporchi e il luogo del relax e dei giochi acquatici. Dopo tutti questi giorni intensi sentiamo sempre più il bisogno di relax e di riposo. Seguiamo il lento ritmo di questo posto nascosto al progresso. C’è una piccola chiesa appena restaurata, molto carina. Conosciamo un albanese che parla italiano con accanto toscano, vive a prato e lavora nel settore tessile. Ogni anno torna a visitare il suo paese natale. E’ un altro degli albanesi della diaspora. Cena frugale a base di feta, agnello bollito, verdura e latte di capra. (
15/8/10 Theth Km 67835
Usciamo dal paese seguendo un sentiero che porterà verso la città di Shkoder. Il tragitto è lungo ed accidentato, ma il gruppo tiene un buon ritmo e in poche ore arriviamo a destinazione. Poco prima che la strada divenga asfaltata e a pochi chilometri dalla nostra destinazione, Gianlupo ha un problema con la moto. Non parte più. Piccolo Grande Uomo inforca gli occhialetti, indossa lo stetoscopio ed il camice bianco ed ausculta la moto. Una volta terminata la visita della paziente, la diagnosi è unanime: batteria scarica o bruciata. Serve una nuova batteria. Jar Jar Bink traina Gianlupo legando la sua moto a quella di Gian con una cinghia di sicurezza. Io anticipo tutti in cerca di una batteria sostitutiva. Al primo paesello mi dicono che forse posso trovare qualcosa a Shkoder, nostra destinazione, a
16/8/10 Shkoder Km 67948
La moto di Gianlupo funziona di nuovo; ci troviamo tutti nella sala ristorante dell’hotel per la colazione ed un’intensa discussione sugli effetti della febbre del viaggiatore. Carichiamo le nostre cavalcature e via di nuovo verso nuovi orizzonti. Stavolta la meta finale sarà Tirana, passando per un piccolo parco nelle vicinanze della capitale, Quando ci fermiamo per pranzo in un rifugio lungo il cammino, siamo vittime di un innocente tranello. Una volta prese le ordinazioni, vediamo il cameriere salire su uno scooter, scendere verso il paese più vicino. Circa un’ora e mezza dopo è pronto in tavola…La cosa mi fa sorridere, qualcuno si adira, qualcuno si lamenta. I più saggi optano per una pennica all’ombra. Quando ripartiamo ormai sono le tre e mezza del pomeriggio. Ci sbrighiamo verso Tirane. Capitan Findus ha appuntamento con un amico albanese, che poi è amico dell’organizzatore del rally, tal Edwin. Edwin ci porta all’hotel di un suo amico che è anche lui motociclista. Ci procura alcuni treni di gomme nuove per le moto che dovremo andare a prendere l’indomani. Ci lanciamo sotto la doccia per lavare via il caldo, la polvere e la stanchezza accumulati nel viaggio. All’ora di cena ci portano in macchina ad un ristorante la cui caratteristica è
17/8/10 Tirane Km 68148
Al mattino vado in cerca di un punto per connettermi ad internet. Lungo il percorso incontro Edwin, Gianlupo, Fabio e Squalo che stanno andando a prendere le gomme per le loro moto. Li accompagno. Dopo pochi metri il nostro squalo tartaruga resta indietro e si perde nei meandri della capitale. Acquistiamo due treni di rally cross e la gomma posteriore per squalo, ce le mettiamo a tracolla ed andiamo dal gommista. Lascio Gianlupo e Fabio a cambiare gli pneumatici e vado in ufficio da Edwin a controllare la posta elettronica. Li ricevo in regalo una maglietta del rally di Albania 2010. saluto il nuovo amico e torno dagli altri. Stanno aspettando squalo che sta cercando di cambiare la gomma posteriore. Ovviamente si è perso. Nove persone stanno aspettando Godot, come il racconto di Beckett. Quando arriva finalmente ripartiamo. Pasquale, detto Squalo, otterrà in questa occasione definitivamente il soprannome di squalo tartaruga. Avremmo voluto uno squalo tigre o uno squalo grigio, ma sempre meglio di uno squalo balena…Lasciamo quasi subito l’asfalto e ci arrampichiamo su e già per i promontori e le colline in direzione di Elbasan. A metà pomeriggio c’è la pausa pranzo. Una signora molto simpatica prende Vasta, la porta in cucina e la mette a pelare le patate. Alla faccia dell’emancipazione! Appena l’ha vista scendere dalla moto ha deciso di spiegarle qual è secondo lei il posto di una donna: in cucina! Facciamo anche un po’ di spesa per la sera. Il programma preveder un campo in montagna con tende e grigliata. Saliamo per qualche chilometro fino a circa
18/8/10 Camping Km 68271
Preparo la colazione per tutti con il pane caldo sulla brace, il nescafè e la marmellata. Smontiamo il campo, Gianlupo se ne va spazientito per l’attesa e tutti quanti ci mettiamo ad aspettare lo squalo tartaruga, che sta ripiegando con cura tutti i suoi panni stesi al sole ad asciugare. Ritroveremo Gianlupo più tardi fermo ad un bivio per indicarci la strada da prendere. Il fondo cambia, da roccia diviene sabbia, poi selciato e fango. I canaloni scavati sul sentiero dai camion dei taglialegna rendono l’incedere difficoltoso per chi, come me e capitan findus, ha le borse in alluminio. Arrivati ad un borgo la traccia continua su una mulattiera che continua con il guado di una cascatella in salita.In molti non se la sentono di fare i salmoni con la moto carica di bagagli. Capitan findus, masx-senza-nick e Fabio proseguono, io faccio spola tra chi resta e chi va per comunicare la decisione. Ci si ritroverà più avanti. Piccolo Grande Uomo disegna un nuovo percorso con il GPS grazie alle sue doti di navigatore stellare. Alcuni chilometri più avanti riprenderemo la traccia seguendo un sentiero più semplice. Ad un bivio dove dovrebbero arrivare gli altri, io e bocca celeste proseguiamo, seguiti da piccolo grande uomo e Jar Jar Bink, mentre Vasta e Gianlupo restano ad attendere gli altri. Lungo il selciato la mia gomma anteriore di affloscia, segnando la mia prima pizzicata del viaggio. Smonto la gomma e la rimonto. Nel rimontare buco nuovamente. Riparo la camera d’aria precedentemente smontata e rimetto tutto a posto. Fa caldissimo. Siamo coperti di sudore e polvere. Gli ultimi chilometri sono tremendi, anche se l’aria mentre andiamo rende il caldo meno afoso. Arriviamo ad un piccolo bar nella periferia di Pogradec, una cittadina sul lago Ohrid, in cui convergono i tre confini di Macedonia, Grecia e Albania. In questo baretto di periferia comincio a chiacchierare con il barista/proprietario che è chiaramente interessato a questi dieci sporchi e puzzolenti stranieri vestiti da enduro ed alle loro dieci cavalcature. Brindiamo con al birra,. Poi ci offre un piatto di stufato di agnello con formaggio e pomodori che ha cucinato sua madre. Arriva un suo amico che parla inglese; dice di vivere nel New Jersey. Il personaggio non mi piace affatto. Ha qualcosa del bullo locale, nei modi, nella voce e nell’aspetto. Il barista invece è molto cortese e sembra una brava persona. Mi chiede di fare un giro in moto e lo accontento, tanto ormai sono abituato a guidare con tanto peso in fuoristrada. Al ritorno il nugolo di ammiratori si è infoltito e quattro di noi sono andati in cerca di un hotel per la notte. Ci troviamo circondati da personaggi sempre più simili al bulletto locale e lontani dal simpatico barista. Calmiero la situazione offrendo sigarette e rispondendo con cortesia a tutti. La maglietta del rally di Albania piace molto., Il bullo ci chiede da dove veniamo. Gli rispondo dal Montenegro. “Siete serbi?”, chiede un po’ incazzato. “no, siamo italiani, ma siamo partiti dal Montenegro”. “ Se eravate serbi vi avevo già uccisi tutti”, risponde il bullo. E qui capisco che è un piccolo sbruffone. Che succederebbe se gli dicessi che vivo da sei mesi con una ragazza di Belgrado e che ultimamente sono diventate due? Resto con il dubbio e faccio cenno agli altri di muoversi. Il barista insiste per offrire tutto lui perché gli stiamo simpatici. Faccio un po’ di resistenza e poi accetto. Lasciamo il posto facendo un po’ di rumore con le moto e ci eclissiamo da quella situazione sempre più spiacevole. Nel frattempo ci arriva un sms con le indicazioni per raggiungere l’hotel che hanno trovato gli altri. Ci facciamo una doccia, poi io, Capitan Findus e Fabio andiamo a fare un giro. Alessio lava la sua moto per 200 lekh. Ci ritroviamo con gli altri per un aperitivo in un locale per la cena. Il posto è molto frequentato, il paese credo sia il più curato che abbia visto finora in Albania. In un paese dove non costruiscono, ma hanno fatto del rattoppo un’arte, questo paese è rattoppato molto bene. Probabilmente è dovuto al fatto che è una meta turistica, per via del lago e della bellezza del paesaggio. Mangiamo come lupi affamati. Arriva un sms di Luca che ci sta raggiungendo con una sua amica Elena. Li incontriamo in hotel con il loro GS 100 PD. Ci raccontano del loro viaggio da Igoumenitsa a Pogradec evitando buche, animali e bambini lungo la strada.(
19/8/10 Pogradec Km 68401
Grazie al letto comodo ed all’aria condizionata ci troviamo tutti nella hall dell’albergo ben riposati. Il proprietario dell’hotel ci tartassa con la richiesta dei soldi per la notte. Cerchiamo di spiegargli, con l’aiuto di un signore albanese che parla inglese, che li stiamo raccogliendo. Squalo sta facendo i bagagli per tornare in Italia, visto che ha finito le vacanze. Gianlupo invece dice che vuole andare al mare e se ne va con la moto carica di bagagli. Bocca celeste è stanco e vuole restare in paese a rilassarsi e a fare il bagno nel lago. I restanti invece si preparano per una passeggiata in off road lungo le tracce del rally. Bellissimi passaggi tra sabbia, pietraie e l’attraversamento/guado di una palude, giusto per lavare la polvere dalle moto con la limpida acqua della palude...Luca detto Zava si fa tutto il percorso con Elena a passeggero. Durante la pausa pranzo Fabio si guadagna il soprannome di bocca di panna. Subito dopo pranzo buco di nuovo la gomma anteriore. Ormai il gruppo è velocissimo a fare cambi gomme e riparazioni. Siamo talmente veloci che sembra un pit-stop di F1! Le battute si sprecano durante la riparazione e diventa tutto molto divertente. Quando torniamo a Pogradec, Zava ci offre una birra gelata per festeggiare questa giornata insieme. Segue la cena di rito nel ristorante di un hotel con vista lago. Menù della cena? Tortellini con panna e prosciutto. Quando arriviamo all’hotel siamo di ottimo umore. (
20/8/10 Pogradec Km 68592
Verso le sette e mezza vengo svegliato da Jar Jar Bink che sta per partire perché l’indomani ha il traghetto per Ancona. Lo accompagniamo alla moto e lo guardiamo allontanarsi. La sensazione che l’avventura stai finendo si fa sempre più forte. Carichiamo i bagagli, salutiamo Elena e Zava che resteranno in giro ancora un pò, e partiamo verso
TUTTE LE FOTO DELLA PRIMA PARTE DEL VIAGGIO LE TROVATE QUI:
FOTO JAR JAR BINK
OPPURE QUI:
CAPITAN FINDUS' BLOG
martedì 27 luglio 2010
massima del 27 luglio 2010
domenica 25 luglio 2010
....e si riparlerà di gentiluomini di ventura
Quella che mi accingo a narrare è la storia di quattro gentiluomini di ventura di origini diverse e nazionalità confuse.
Questa è la storia di uomini partiti per un viaggio oltre mare in cerca di fortuna e gloria.
Vi racconterò cosa avvenne in quei giorni in cui gloria e potere si mischiarono al suono della salsa e del merengue, così vicini all’equatore e così lontani da casa.
Questo viaggio comincia in una notte di primavera a Roma, quando il ponentino soffia e spazza via il freddo dell’inverno, i grilli cominciano a cantare e i fiori a sbocciare.
L’amore a Roma, si sa, si semina in autunno e si raccoglie alla fine della primavera.
Partire.
Preparo la valigia sperando di non dimenticare nulla. Uno zainetto con il necessaire casomai mi perdessero il bagaglio come quella volta a Londra, quando rimasi senza valigia sotto la pioggia e dovetti risolvere alla meglio. Un po’ di training autogeno per rilassarsi al pensiero dei tanti voli aerei previsti e degli atterraggi che odio. Due libri nuovi ed uno da finire per superare il lungo viaggio.Terzani e Chatwin oltre al buon Richler con la sua Versione. Spero di arrivare a conoscere la terza moglie di Barney stavolta, anche se Miriam è sempre presente nell’autobiografia di questo trasandato signore con tanti soldi e poco amore che sembra la versione invecchiata del Giovane Holden che ha catturato l’immaginazione della mia infanzia. Andiamo a conoscere il centro america e il Mar dei Carabi, scenario delle avventure di Salgari, dell’Olonese e presto anche mie e dei miei compagni di viaggio. Qualcuno di loro lo conosco meglio e qualcuno per nulla, ma penso che questa sia l’occasione per saper di loro e capire se le mie impressioni siano corrette o meno. Argento è un avventuriero di professione, ha scelto il rischio come missione di vita, ama vivere e l’ambizione domina le sue azioni. Forse è un po’ il leader tra i suoi. Forte è l’uomo dai piedi di piombo, attratto ed affascinato dai racconti di viaggiatori che tornano dai mari del Sud con valige colme di perle, pietre preziose e profumi di ogni sorta, ma da solo non avrebbe mai preso il mare. Ha un po’ scordato come si fa a vivere, perso nella routine del quotidiano. Avrà tempo per ricordarselo durante questo viaggio. Picchio è un uomo che non ha mai lasciato morire del tutto il bimbo che rechiamo dentro di noi, anzi, l’anima fanciullesca regna nel suo carattere e nel suo atteggiamento. E’ partito con lo spirito di chi va a giocare a calcio con gli amici. La sua particolarità è la sua doppiezza. Dietro la maschera di adolescente mai cresciuto si nasconde un metodico amministrativo che, degno del volatile di cui porta il nome, persiste nelle proprie intenzioni sinché non raggiunge il risultato che si è prefissato. La prima sessione di voli aerei si preannuncia lunga ed estenuante: Roma, Madrid, Miami, San Pedro de Sula, Tegucigalpa. Poi Salvador, Panama, Madrid e di nuovo Roma. Ci ho messo troppo per scrivere solo le tappe del viaggio. Sono già stanco!
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno primo.
Dopo una notte insonne trascorsa in compagnia di una zanzara molto fastidiosa, alle 5.15 squilla la sveglia obbligandomi alla levataccia. Mi vesto con gli occhi a mezz’asta, ciondolando tra il bagno e la valigia. Mi scolo una caffettiera da tre nella speranza di svegliarmi abbastanza per arrivare all’aeroporto. Chiudo casa e vado a prendere un taxi. Quaranta euro di tariffa fissa e un tassinaro che mi parla della crisi e del trend economico mondiale prima ancora che sorga il sole, mi mettono di pessimo umore. Arrivato in aeroporto ritrovo i tre porcellini, Argento, Forte e Picchio, in assetto da viaggio. Al check-in ci informano che per entrare negli Stati Uniti dal 1° Aprile si deve compilare una domanda on-line su un sito che si chiama ESTA. Questa notizia di prima mattina mi peggiora l’umore. Le imprecazioni si perdono nella eco del terminal di Fiumicino. Picchio ed io corriamo in cerca di un internet point a gettoni e compiliamo la domanda per tutti e quattro. Riusciamo a salire in tempo sull’aereo per Madrid, un volo che procede senza particolari intoppi. La mente corre ad alcuni anni prima, quando pensavo che Madrid sarebbe stato un buon posto dove mettere su famiglia, quando la mattina incrociavo lo sguardo di due occhi neri. Barajas è sempre grande. Perdiamo venti minuti camminando fino al gate da cui ci si imbarcherà per Miami. Poi ci perquisiscono a fondo. Devo riuscire a levarmi questa espressione da terrorista talebano un giorno o l’altro: non se ne può più di essere perquisito ad ogni occasione. In vista del lungo volo ed incerti sulla qualità del cibo, ci uccidiamo con alcune baguette con jamòn y queso. Il volo per Miami dura circa dieci ore con sei ore di fuso orario. A Miami ci fanno mille controlli e poi ci lasciano uscire dall’aeroporto mentre attendiamo la coincidenza per San Pedro de Sula, in Honduras. Prendiamo un taxi guidato da un tassista cubano di nome Raul e facciamo rotta verso la downtown. La lingua ufficiale non si capisce se sia l’inglese o lo spagnolo. Miami è piena di grattacieli, di spiagge, il mare manda i suo riflessi argentei e lo spirito del consumismo invade i miei tre compagni di viaggio. Invece di vedere la città finiamo in uno shopping center a comprare magliettine ed occhiali da sole. Resta il tempo per una chuleta argentina di fronte al porto turistico. Al ritorno un tassista nero e taciturno, che parla un misto di francese ed inglese, ci riporta all’aeroporto dove andiamo alla nostra porta d’imbarco per il volo che ci porterà a San Pedro de Sula, ridente cittadina dell’Honduras di cui, prima di oggi, ignoravo l’esistenza. Nel duty free prosegue la mia indagine di mercato e compro tutti gli snacks a base di carne essiccata che qui chiamano “jerkey”. Sembrano pezzetti di scarpa vecchia essiccati, tagliati a quadratini e imbustati. A bordo dell’aereo veniamo catapultati nello spirito dell’America Latina. Una hostess di sangue misto con un bel sorriso ed un ragazzo honduregno che vive a Denver, la signora con le borse della spesa cariche di cibo per i suoi parenti, la bimba che piange tra le prime poltrone perché non vuole stare seduta, la grande mama vudù che giace mezza abbioccata e il tramonto sul mare dei Carabi che si intravede dall’oblò di questa aeronave che ha visto anni migliori. Tutto questo ed altro ancora ci fa cambiare aria. Questo volo ci farà guadagnare altre due ore di fuso orario per un totale di otto ore in meno rispetto all’Italia. Due ore dura il volo. Partiamo alle 19 e 15 ed arriviamo alle 19 e 25 ora locale grazie al giochetto dei fusi orari. A Roma sono le tre e mezza del mattino e a San Pedro de Sula sono le sette e mezza di sera. Prevedo un crollo sul letto. Il ragazzo honduregno ci consiglia un hotel in centro che si chiama appunto “Hotel Sula”, per lasciare spazio alla poesia ed alla fantasia. Giungiamo all’albergo con un furgoncino in serata. Il posto è carino, ma la sorpresa sta nel prezzo: 120 U$D a stanza. Le coppie sono fissate: io e Argento andiamo in una stanza, mentre Forte e Picchio vanno nell’altra. Beviamo un paio di birre al bar dell’albergo e Argento chiacchiera con due ragazze locali che stavano allegramente baciandosi lingua in bocca fino a pochi secondi prima. Dalla Grecia antica l’amore di Lesbo ne ha fatta di strada…anche se sembravano “di larghe vedute”. A questo punto siamo affranti dal viaggio e dal fuso orario e andiamo a coricarci per qualche ora in attesa di prendere l’ultimo volo che ci separa dalla nostra prima meta.
Diario Astrale del capitano Carlo: giorno secondo
Alle cinque e un quarto del mattino, ora locale, dopo una colazione pesantissima per i nostri parametri, il taxi della sera prima ci porta all’aeroporto dove ci attende la prima sorpresa della giornata. L’aereo che da San Pedro de Sula ci porterà a Tegucigalpa è un piccolo velivolo con due motori ad elica…Decolliamo con l’aereo che sbatte le ali per staccarsi dal suolo per l’ultimo, breve volo di questo lungo viaggio. Atterriamo a Tegucigalpa con una emozionante discesa a vite e troviamo ad attenderci all’uscita dell’aeroporto la corrispondente della Camera di Commercio Italo Honduregna,
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno terzo.
Il fuso orario sballato ci sveglia prestissimo. Facciamo colazione all’Hotel. Io e Claudio andiamo con un aiutante di Richard in un centro commerciale per comprare un paio di calzoni corti e lo sciroppo per la mia tosse che si fa sempre più intensa. Nel frattempo mi si è infiammata la congiuntiva dell’occhio sinistro. Andiamo a mangiare un boccone da Gino’s prima di andare alla fiera. Vado in camera per indossare la giacca e la cravatta con un paio di calzoni di lino per stare fresco, visto che la temperatura è alta e l’aria condizionata verrà accesa solo nel primo pomeriggio. La fiera inizia. Nella mattinata è arrivato Marlon, lo spedizioniere della Costa Rica. Tipo simpatico, alla mano con una faccia da gran paraculo. Prepariamo la degustazione dei formaggi, vini, salumi olio, pizza ed olive. L’effetto è quello del miele e le api. Lo stand diventa il principale punto di attrazione della fiera. Nel corso del pomeriggio arriva il neo ambasciatore italiano a trovarci e a vedere l’esposizione. Di origine toscana, brizzolato, rilassato, ma ancora incapace di parlare spagnolo. In serata è prevista una presentazione ufficiale con cerimonia di apertura della manifestazione. Mi chiedono di rappresentare gli imprenditori italiani al tavolo principale con il ministro dell’industria, un paio di deputati, alcuni rappresentanti delle varie camere di commercio bilaterali dei vari paesi del centroamerica, oltre al nostro ambasciatore. Finita la cerimonia accompagno il ministro, un deputato e l’ambasciatore al nostro stand ad assaggiare i nostri prodotti. E qui il gusto italiano fa la sua porca figura. Regalo una bottiglia di olio all’Ambasciatore ed al Ministro, poi comincio a chiacchierare con il Ministro per guadagnarmi la sua simpatia , il biglietto da visita e il suo appoggio in caso dovessimo avere problemi con il progetto di import-export che abbiamo in mente. E’ interessante vedere l’impegno che pone questo politico del centro america per dimostrare che vuole davvero fare qualcosa per il suo paese. Dopo il colpo di stato ordinato dalla Corte Suprema, il passato 20 Giugno 2009, l’ONU riconosce ancora il Presidente destituito, Zelaya, come unico presidente legittimo del paese, disconoscendo la recente elezione di Lobo, del cui governo fa parte il ministro con cui sto chiacchierando. D’un tratto la sala si illumina di flash e telecamere ed arriva una giornalista bellissima che prende ad intervistare il Ministro mentre io la squadro ammirandone le fattezze: valeva la pena visitare l’Honduras solo per poterla vedere! Segue una doccia e andiamo in un locale vicino all’Hotel, il Bull Bar, per mangiare qualcosa. Troviamo alcuni ragazzi locali che avevamo conosciuto alla fiera. La musica è assordante e di pessima qualità, il cibo fa schifo e, come non bastasse, sono stanchissimo. Un tizio cerca di attaccarmi bottone con discorsi del tipo “come va l’economia in Italia?”. Viene immediatamente silurato. Torno in albergo da solo e crollo sul letto.
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno quarto.
Argento e Picchio sono in piscina a prendere il sole. Io vado con Claudio, accompagnato da Luigi, il cameriere di Gino’s, dal medico per via del mio occhio che non vuole migliorare. Andiamo a La casa de Cura del Carmen, dove un medico mi visita con cura e mi diagnostica una congiuntivite dovuta ad infiammazione diffusa dei bronchi…in pratica i canali lacrimali si sono otturati. Costo della visita 15$. Costo delle medicine 100$!!! Luigi mi spiega che “es por eso que la gente se muere”, perché i medicinali costano troppo e chi non se li può permettere è spacciato. Torniamo in hotel e Claudio si unisce agli altri in piscina, mentre io vado a “farmi” le medicine. Ai tre si è unito anche Marlon, commentando il colore rosso gamberone che hanno assunto. Pranziamo all’Hotel e ci prepariamo per la fiera. E’ prevista una serata dal titolo “Momentos Romanos”, quindi a metà pomeriggio cominciamo ad allestire i vassoi con le olive disposte a piramide, i formaggi a spicchi artistici, la porchetta a cubetti avanguardisti e l’olio di oliva accompagnato dalla pizza croccantina. Arriviamo alla piscina dove ci attendono tavoli imbanditi all’aria aperta. Una pioggia tropicale, tanto improvvisa quanto impetuosa, ci sorprende e siamo costretti a rifugiarci all’interno. Grande successo del cibo italiano che abbiamo portato. Peccato che fosse accompagnato da una pizza schifosa “made in Honduras” e da una pasta scotta, sempre “made in Honduras”, preparate dallo chef dell’hotel che, evidentemente, non aveva grande dimestichezza con la nostra cucina. Arrivano i fratelli Orellana, conosciuti in una fiera a Barcelona. Orellana…questo nome evoca leggende di avventurieri, ed oro. Dopo aver conquistato il Perù al seguito di Pizarro, Francisco de Orellana si spinse nell’interno, scoprendo il Rio de las Amazonas, cui diede il nome, poiché venne attaccato da donne indigene combattenti, come le figure mitologiche. Si lanciò alla ricerca della mitica El Dorado….e morì di malaria. Tutti noi oggi conosciamo le sue scoperte. La storia lo ha reso immortale, tanto che oggi sentendo il cognome di questi due imprenditori di San Pedro de Sula penso ad El Dorado. Sembrano davvero delle brave persone. Prendo a chiacchierare con l’Ambasciatore che mi intrattiene con un’interessantissima relazione sulla storia delle monarchie europee….Vado a cambiarmi perché la serata prosegue in discoteca. Io, Argento, Forte, Picchio, Marlon, Elizabeth e Giselle andiamo al “Rio” accompagnati da un simpatico espositore della Costa Rica di nome Julio. Sono stanco e la musica fa davvero schifo, così non mi diverto più di tanto e finisco per accasciarmi su un divano. Torniamo in hotel verso le due e di nuovo mi tuffo nel letto a pelle di leopardo.
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno quinto.
Ultimo giorno di fiera. Ci svegliamo troppo tardi per fare colazione ed iniziamo subito a lavorare dietro il bancone dello stand che oggi comincia di mattina per finire al pomeriggio. Pranziamo al ristorante dell’hotel dove scopriamo che Natalia, la rappresentante della Camera di Commercio Italo Costariquena è stata molto male nella notte per via di un brutto attacco di asma. Verso la fine della fiera cominciamo a vendere un po’ di prodotti avanzati, poi tutti a prepararsi per la serata. Il programma prevede una cena al “Patio” con alcuni di quelli della fiera e discoteca a seguire. A cena procede tutto bene e ci uccidiamo con la carne alla brace e i tacos al formaggio con frijoles. Una ragazza, che lavora come ingegnere elettrico nella nazionale società elettrica, mi guarda con fare ammiccante. Denti rifatti, tette rifatte, unghie rifatte, un sacco di soldi rispetto alla media nazionale e un attrazione particolare verso gli uomini europei e nordamericani. Due parole di incoraggiamento, un paio di battute taglienti e andiamo via in macchina insieme verso la discoteca “Rio”. Stesso posto della sera prima. Stasera però la musica è molto migliore e con noi c’è la ragazza che faceva pubblicità alla birra “Salva Vida”, di proprietà di un noto gruppo Sudafricano. Molto carina, bellissimo sedere e una mente interessante. Di umili origini, ha già appurato che la sua bellezza è lo strumento con cui potrà ottenere quello che la vita non le ha dato. Abilissima a farsi guardare dagli uomini e a tenerli in pugno giocando con le loro insicurezze ed i loro desideri. Essendo stato vittima più volte del fascino di questo tipo di donne, scopro subito il suo gioco, ma mi piace guardare il comportamento del gruppo nei suoi confronti, il ballo di sguardi di una giovane professionista della seduzione. Stasera la musica è bella e non sono stanco, la compagnia è divertente e animata. L’ingegnere mi balla sempre più vicino…Beviamo ron e cola mentre balliamo techno, merengue, reggae, salsa, house e tutta la musica che il DJ ha nella sua raccolta. Ci sono alcol, sesso, musica e vita che animano questa serata. Tutti con il bicchiere in mano a ballare con una ragazza…Esco con l’ingegnere a prendere una boccata d’aria. Bellissima serata.
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno sesto.
Prepariamo le valige e andiamo a lasciarle all’aeroporto. Richard ci mostra cosa significa conoscere gente in questo paese ed essere riconosciuto come parte della classe alta. In 30 minuti abbiamo fatto tutto quanto saltando tutta la coda. Partiamo in macchina verso la casa di Letizia, che compie gli anni e vuole salutarci. Io, Forte ed Argento ci mettiamo ai fuochi a preparare carbonara e amatriciana. Marlon è partito stamane per il Salvador, Come sempre grande successo della cucina italiana. Verso le tre e mezza andiamo all’aeroporto. Alle 16 e 30 ci imbarchiamo e salutiamo Richard con al promessa di collaborare. L’aereo fa scalo a Salvador, dove troviamo Marlon che deve cambiare aereo per tornare in Costarica. Facciamo merenda insieme e, dopo i calorosi saluti al nostro nuovo amico, saliamo a bordo dell’aereo della TACA che ci porterà a Panama City. Il volo procede tranquillo sino a Panama. Riempiamo i soliti moduli doganali di ingresso ad un nuovo paese. Per ora abbiamo fatto Roma, Madrid, Miami, San Pedro de Sula, Tegucigalpa, Salvador, Panama City. Sette città, sei paesi, tre fusi orari. Sono un po’ frastornato, ma mi sento vivo. Ho inseguito questo lavoro come un sogno ed ora lo sto realizzando, Alla dogana dell’aeroporto di Panama mi fanno mille domande: chi sono, che faccio qui, dove vado, quando lascio il paese, che lavoro faccio…Segue un litigio con un tassista disonesto che per 40 $ ci porta all’albergo che ci ha riservato l’amico di Forte e Picchio. Il trasferimento in auto ci permette di osservare la città di notte. E’strano vedere il mare, i grattacieli all’americana ed il cielo stellato tutti insieme. Ho perso l’abitudine di vedere le stelle nelle città. “ E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Arrivati all’albergo ci attende una spiacevole sorpresa: il posto è un tugurio con stanze minuscole e sporche con il condizionatore rotto, cosa terribile se ci sono 36° C e il 90% di umidità. Cerchiamo di sopravvivere per la notte con la promessa di cambiare hotel all’indomani.
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno settimo.
Facciamo amicizia con un taxista che ci aiuta a cercare un hotel decente. La nostra ricerca ci conduce in un quartiere che si chiama “el cangrejo”, e l’albergo che troviamo è il “Marbella”. Il tempo di posare le valige e corriamo all’appuntamento con l’ambasciatore. Veniamo accolti con un caffè espresso di cui sentivamo la mancanza ed inizio a spiegare perché siamo a Panama e cosa vorremmo fare. L’ambasciatore è estremamente disponibile e cortese e ci aiuta ad organizzare una degustazione dei nostri prodotti per lo stesso Venerdì. Lasciamo l’ambasciata per andare a trovare un distributore di origine italiana, Don Vincenzo. Ha lasciato
Diario Astrale del Capitano Carlo: giorno ottavo.
Ci svegliamo di prima mattina e ci troviamo con Felicetta che è venuta a prenderci per portarci al magazzino dove è stata scaricata la merce. Ci riceve Pepe nel suo ufficio e ci porta a vedere la sua azienda ed il negozio all’ingrosso annesso e infine in cella frigorifera a controllare la nostra merce. Durante la visita conosciamo il padre di Pepe, Lazaro, che, a ottantadue anni, ancora sta in azienda a lavorare e non ne vuole sapere di stare a casa. Di origine allega ha passato la vita a costruire l’azienda. Chiacchieriamo della Galicia, dei mariscos e di quando ho visitato Santiago viaggiando in autostop partendo da Bilbao. Li invitiamo Venerdì alla degustazione. Arriva il nostro taxista di fiducia, Mariano, ed andiamo alla Sociedad Italiana de Beneficiencia, dove si terrà la degustazione, per preparare l’evento. E’ divertente come i panamensi non usino i nome delle strade ed i numeri civici, ma “descrivano” l’indirizzo. Andiamo a
Diario astrale del Capitano Carlo: giorno nono.
Noleggiamo una macchina e ci dirigiamo in ambasciata dove facciamo il punto della situazione. L’Ambasciatore ha invitato circa trenta importatori e distributori alla serata di Venerdì. Forse verrà anche il Presidente della Repubblica di Panama. Finito l’incontro partiamo in auto ala volta di Las Tablas dove dobbiamo incontrare il direttore di un macello. Dormo per tutto il viaggio, salvo una pausa al Mac Donald per tappare la fame. Fa sempre molto caldo, ma l’umidità è diminuita Il proprietario del macello i informa che il suo è il più grosso stabilimento di tutto il paese ed ha due sedi operative dove macellano in tutto circa dodicimila vacche al mese. Ci fissa un appuntamento a Panama city con il responsabile export, per le informazioni sulle certificazioni ed i volumi necessari. Facciamo un giro con un amico di Picchio e Forte a visitare i loro investimenti terrieri in zona. Alla sera ceniamo in una bettola sul mare che ha un cameriere rincoglionito, ma il pesce è freschissimo è squisito. Argento si addormenta sulla sedia alla fine della cena…
Diario astrale del Capitano Carlo: giorno decimo.
domenica 10 gennaio 2010
come mi venne il mal d'africa
24/12/2009 km 55901
Travel mode: ON
Il tempo non promette nulla di buono sicché mi copro in ogni modo pronto per una trasferta difficile fino a Viareggio, dove trascorrerò il Natale con i miei genitori. Controllo il carico e spero di non essermi dimenticato nulla. Coperto da vari strati tecnici e poco tecnici (dal goretex alle mutande di lana), salgo in sella a Nerone e faccio rotta verso Nord lungo la SS1 Aurelia. La pioggia batte, prima piano piano con qualche goccia solitaria, poi sempre più intensamente e terminerà in un vero e proprio nubifragio negli ultimi 10 km di viaggio. Le gomme nuove fanno fatica e il posteriore spesso slitta perdendo aderenza, facendomi venire i sudori freddi sotto gli strati che mi separano dal mondo esterno. Sono l’unica moto in viaggio sull’Aurelia alla Vigilia di Natale sotto la pioggia battente. In questi casi sono sempre incerto riguardo a quello che pensa la gente dalle automobili, se mi ammiri come l’avventuroso centauro che non si ferma di fronte a nulla, oppure pensi “Guarda quel coglione….” Faccio una breve sosta in un autogrill per un toast ed un te caldo e prendo a chiacchierare con in barman e poi con sua figlia, giovane gnocca che tra qualche anno farà girare più di una testa. Il Pornoromanticismo è sempre in agguato! Gli ultimi km prima della meta sono da prova speciale di enduro, tra strade allagate tipo guado di un fiume in piena, buche nascoste dall’acqua, pioggia a secchi e la visibilità ridotta a zero. Mi affido al settimo senso, meglio noto come “culo” ed arrivo a casa dei miei genitori zuppo come un pulcino, in tempo per una doccia calda e per prepararmi per la cena della Vigilia. Il viaggio riprenderò il 26 Dicembre verso Genova dove mi imbarcherò alla volta della Tunisia.
26/12/2009 km 56278
Mi sveglio con calma e faccio colazione, Dopo essermi vestito e bardato contro il freddo, accendo la moto, saluto i miei genitori e parto verso Genova. Stavolta, per fortuna, non piova anche se comunque fa freddo. Genova dista poco più di 140 km e quindi me la prendo con calma. Ad un certo punto il GPS smette di funzionare come se non prendesse corrente: ho trovato il modo per occupare il tempo in attesa di imbarcarmi. Seguo le indicazioni degli operatori del porto e mi parcheggio accanto alla poppa del traghetto “Splendid” in attesa che inizino le operazioni di imbarco. Nel frattempo conosco un tunisino di nome Seif, la spada. Vive a Udine, sembra una brava persona; torna a casa dalla moglie perché sta per diventare papà. Mi racconta che è stato in cassa integrazione per un po’ e poi è finita anche quella. Poco dopo iniziano ad arrivare un sacco di moto. Tra queste Giada e Davide. Anche Giada ha un problema di corrente con il GPS. Con Davide scopriamo che è un problema di fusibili e risolviamo in fretta; con l’occasione do un‘occhiata anche al mio che si rivela essere un semplice contatto ossidato a causa dell’acqua presa da Roma a Viareggio. Saif mi lascia i bagagli e va a fare la spesa. Lo ritrovo a bordo della nave dove scambiamo due chiacchiere, qualche sigaretta e mi offre una birra presa al supermercato. Peccato che all’imbarco abbia incontrato anche un altro tunisino che vive a Milano, ha provato a vendermi Hashish, poi mi ha raccontato che andava in Tunisia solo per andare a puttane, che sono molto più a buon mercato che non in Italia (10 tutta la notte, se vi interessa). Saluto Saif e vado a fare due chiacchiere con Davide e Giada: si parla di moto, ovviamente! Bella coppia questi due: due cuori e sette moto! Conosco anche il silenzioso Alessandro, l’amicone Davide e il progettista Sergio. Una voce dall’alto parlante ci informa che dobbiamo recarci all’ufficio di polizia a bordo per il visto e anche all’ufficio delle dogane per il permesso di circolazione per le moto. Inutile dire che la fila da fare era lunghissima. Uno di noi si incarica di fare i documenti per tutti. Nel frattempo incontro Paolo di “Bi & Ti”, il concessionario KTM di Roma; tempo di un saluto e fugge in camera a dormire. Subito dopo sento Matteo Ginginacchi per telefono che mi manda il numero di cellulare di Bibo, il quale risponde dal bagno della nave dove sta producendo preziosi regali: tempismo perfetto! Bibo mi racconta che sta andando in Libia con un suo amico che farà da accompagnatore e mezzo di supporto al viaggio con un mezzo strano: un’ex piattaforma mobile lanciarazzi 6X6, residuato bellico NATO demilitarizzato ed adattato ai viaggi nel deserto. Li invece si farà il viaggio sulla sua KTM 690 modificata. Arriva l’ora di cena. In coda per il self-service conosco due motociclisti di Rovigo: Artemio, venditore e meccanico di moto da enduro e cross, ex pilota con limitazioni fisiche che lo hanno costretto a lasciare le competizioni, e Adi, informatore farmaceutico di origine libanese che vive da anni in Italia, divorziato con una figlia di 10 anni. Ceniamo insieme e mi invitano ad unirmi a loro per andare a Douz dove si tiene il festival del Sahara. Sembrano simpatici, magari li raggiungerò. Incontro di nuovo Seif che mi invita a fare una grigliata a casa sua, sulla costa, nel villaggio di Mahdia. Magari sulla via del ritorno passerò a trovarlo. Torno alla poltrona dove ho lasciato i miei bagagli e sento un accento familiare: dialetto della bassa bresciana. “ E alura?chi ta fet che?”. In una danza di gutturali, nasali ed aspirate che poco hanno a che vedere con l’italiano corrente, conosco due imbianchini della bassa bresciana in moto ed un geometra in pensione che viaggia in camper con la moglie. Mi raggiunge Davide alle poltrone dicendo che l’operatore di polizia non mi ha rilasciato il visto perché vuole vedermi in faccia. Vado nella sala dove si fanno i documenti e, nel giro di un’ora e mezza, ne esco con tutti i documenti. In coda conosco una bella signora genovese. Peccato che ci fosse il marito…Stanco per la giornata intensa torno alla poltrona, mi sdraio di traverso occupando quattro posti a sedere, gonfio il cuscino da campeggio e mi abbandono alle braccia di Morfeo, cullato dalla danza del traghetto sulle onde.
27/12/2009 Km 56431
Dopo una notte passata a cercare di dormire in posizioni sempre nuove, decido di lasciare la sala delle poltrone per andare a fare colazione. Lunga fila per il caffé della mattina. Pare sia un’usanza comune a molte popolazioni: italiani, tunisini, tedeschi, francesi, cechi, etc. Incontro Bibo, lanciato in un’accesa discussione sulla praticità di un camion piuttosto che un altro sulla sabbia libica. Poi esco e trovo Paolo del concessionario KTM che prende il sole e facciamo due chiacchiere sul ponte superiore esterno di poppa della nave. Mi chiama un amico dalla Germania per gli auguri e poi incontro Giada, Davide, Sergio, Davide Fun e Alessandro e si fanno altre due chiacchiere. Seif, l’amico tunisino, mi lascia il suo numero di telefono e rinnova l’invito per la grigliata da lui a Madia, sul mare. Dall’altoparlante della nave arriva l’avviso di lasciare libere cabine e poltrone. Ci si ritrova tutti nella sala del self-service a giocare a UNO in attesa di sbarcare dalla nave che ormai è entrata nel golfo di Tunisi. Le lunghissime operazioni di sbarco sono seguite dalle estenuanti trafile per i documenti che dobbiamo presentare all’ufficio di polizia ed alla dogana: che palle! Finalmente usciti dal porto, sbagliamo strada un paio di volte e poi andiamo verso l’albergo che avevo riservato via internet. Una carovana di sei moto si aggira per la capitale tunisina. Blocco i tassisti con il mio francese stentato per avere indicazioni, visto che Tunisi non è mappata sul mio GPS. Dopo un po’ di giri arriviamo all’Hotel Saint Gorge, dove alloggeremo per la notte. La prima cosa che faccio è andare in bagno. Accanto alla tazza del water noto uno strano marchingegno: un tubo flessibile con un ugello e un rubinetto e non capisco a cosa serva. Una doccia rigenerante mi leva la stanchezza del viaggio, ma, nel momento di asciugarmi una spiacevole sorpresa: una sgommata di merda fa bella vista sull’asciugamano fresco di bucato! Orrore! Prendo il mio asciugamano, mi vesto e poi scendo al bar con Davide e Sergio per bere qualche birra. I tunisini non vendono alcol, ma lo devono volentieri nei locali riservati ai turisti. Siamo gli unici tre turisti in mezzo a cinquanta Tunisi, musulmani non praticanti. Arriva l’ora di cena e la guida Lonely Planet consiglia di andare nella Kasbah. Prendiamo un taxi ed arriva la prima fregatura. Invece dei due dinari e dieci della corsa, si fa dare 21 dinari. Che je possino...Con qualche dubbio rispetto alla professione della madre del tassista, ci inoltriamo nella Kasbah di Tunisi passando per la Piazza del Governo. Nel dedalo di vicoli la guida LP è imprecisa, sicché chiedo ad un ragazzo delle indicazioni e questo ci accompagna direttamente tra le viuzze del, suk deserto con tutti i negozi chiusi fino a che incontra un personaggio singolare: è un ragazzo con una tunica di lana bianca, cappelletto bianco, calze bianche, pantofole crema, una tappetino arrotolato appoggiato sulla spalla sinistra ed una lanterna quadrata grossa come un casco da moto con dentro delle candele accese. Questo soggettone ci accompagna nei meandri segreti sino ad una porta antica di legno di cedro e bussa tre volte ai battenti, quasi fosse un codice. Dopo poco appare un giovane uomo in gessato, ingelatinato, con una terribile cravatta rosa che ci guida in una sala da mille e una notte. Soffitti intarsiati, colonne arabescate, tappeti, tavole imbandite, pareti ricoperte di piastrelle variopinte ed un cantante tradizionale che si accompagna con uno strumento a corde simile ad un Bouzuki greco mentre intona canzoni che fanno da sottofondo alla serata. Mangiamo couscous e pesce con te alla menta finale. I menù si leggono a partire dall’ultima pagina e nel locale servono solo acqua, bibite, te alla menta e birra analcolica. Sevizio spettacolare, da favola, ambiente da sogno, tutto per 33 dinari a testa! Circa 16€ per il miglior ristorante della Kasbah. Alla fine della cena il tizio con la lanterna ci riporta verso il taxi attraverso i sentieri segreti del mercato deserto. Arriviamo all’hotel con il taxi (stavolta paghiamo 3 dinari) e decido di smontare il DB Killer della moto. Domani collauderò lo scarico aperto attraverso la Tunisia ascoltando la vera voce del motore. E’ giunto il momento di coricarsi in vista della levataccia di domani.
28/12/2009 Km 56451
Ci svegliamo di prima mattina, prepariamo i bagagli e ci troviamo tutti nella sala per la colazione. Carichiamo le moto, andiamo verso il distributore di benzina (1,27 TD per lt.) e poi in cerca di una banca per cambiare gli euro in dinari tunisini. L’impiegato della banca parla italiano e ci fa servire da una sua collega (molto carina). Il cambio sta a circa 0,53€ per 1 TD. Fatto ciò ci salutiamo: loro vanno verso Gafsa, mentre io voglio fare il giro delle oasi di montagna che parte da Le Kef. Uscire da Tunisi si rivela un’impresa per via del traffico e della segnaletica stradale, ma il fido GPS segna la rotta e così riesco a navigare fuori dalla città. Vado in direzione di El Barth, quindi Dougga e El Krib. La temperatura scende, la quota sale ed un sole freddo dardeggia incerto nel cielo. I tunisini guidano come pazzi, con sorpassi azzardati che mettono a rischio tutti e manovre spericolate. Mi fermo per consultare le cartine, mettermi i guanti pesanti e fare una pisciatine a bordo strada. Poco prima di Le Kef incontro, fermi ad un bar, due motociclisti tedeschi (tedeschissimi, direi).Vengono dalla zona delle oasi e, dicono, è pieno di fango ed un po’ di neve; sconsigliano di avventurarmi da solo. Guardo le moto, sporche di fango, tassellate, pronte all’enduro pesante, poi guardo loro, tutti bardati con stivali da enduro vissuti e abbigliamento tecnico…se fossero stati due fighetti con le ruote da strada e il completino bmw probabilmente avrei sorriso ed avrei proseguito. Saluto Otto e Fritz, imposto il GPS verso la città di Sbeitla, per evitare di fare la statale, e parto in navigazione, fregandomene delle strade e della segnaletica, tagliando praterie e cavalcando piste umide: la sera prima doveva avere piovuto. Passo vicino a Dahmani, El Ksour, Rouhia. La povertà e la trascuratezza sono in netto contrasto con la capitale. Sembra di essere in Italia ai primi del ‘900. Sono quasi certo che la maggior parte dei bambini non vada a scuola e che i loro genitori siano analfabeti. Mi salutano quando passo urlando frasi in arabo per me incomprensibili. Mi fermo a chiedere informazioni ad un ragazzo per ritrovarmi circondato da un sacco di bimbi eccitati a causa della moto. Per scherzare mi allontano con la moto e loro mi corrono dietro: che carini! Saluto tutti e riparto. La strada per Sbeitla è una pista tutta dritta che incita ad aprire il gas. Appena butto un occhio sul tachimetro leggo 110km/h! Mi piglia un colpo e chiudo il gas tornando a velocità più modeste. All’ingresso di Sbeitla ci sono delle rovine romane ed un sacco di fuoristrada italiani parcheggiati fuori. E’ l’ora di pranzo e cerco un bar per mangiare. Faccio un paio di giri e poi mi ritrovo davanti un gruppo di moto parcheggiate dall’aspetto familiare: Giada, Davide Fun, Davide, Sergio ed Alessandro stanno sbracciando dal tavolino di un ristorante. Ci raccontiamo le avventure della mattinata, pranziamo e torniamo tutti insieme a fare rotta verso Gafsa. Riprendiamo a navigare tra strade asfaltate, fuoripista e sentieri sterrati che iniziano ad essere sabbiosi. Verso sera arriviamo a Gafsa e troviamo alloggio all’Hotel Luna. Decidiamo di andare a cena nel miglior ristornate della città che è caratterizzato da “un tripudio di mobili kitsch” come recita la guida LP. I tassisti guidano come folli e vediamo la morte in viso sia all’andata che al ritorno del tragitto Hotel-Ristorante- Hotel. Domani faremo il giro di Tamerza. Ogni tanto mentre viaggiavo, i pensieri vagavano ai sogni di quando ero piccolo e vedevo le foto degli avventurieri in moto sulla sabbia, per tornare alla realtà, vagando tra presente e passato in una danza spensierata. Quanto è piacevole pensare che domani possa succedere qualunque cosa e tu sei pronto ad affrontare tutto. Sia nel viaggio che nella vita.
29/12/2009 Km 56901
Dopo una notte insonne per via del freddo in una stanza con standard igienici assai distanti da quelli europei, ci troviamo tutti a fare colazione; quindi carichiamo le moto e facciamo benzina. Scopro che, non so bene perché, ma la moto ha consumato pochissimo: 23 km/litro di media! 440 km con 19 litri. Avevo ancora più o meno 5 litri nel serbatoio, un’autonomia di almeno altri 100 km. Si vede che la vicinanza al deserto fa proprio bene a Nerone! (avevo dato questo nome alla moto perché è arancio incandescente, come la città di Roma quando l’imperatore gli diede fuoco) Partiamo in gruppo e lasciamo subito l’asfalto procedendo in fuoristrada. Lungo il percorso troviamo vari ostacoli da superare. Il sentiero ad un certo punto è separato da un burrone che lascia uno spazio di circa tre metri di vuoto tra il punto dove finisce e quello in cui ricomincia. Il baratro è profondo circa sette metri, come se avessero fatto saltare la strada con dell’esplosivo. Ci lanciamo all’esplorazione, cercando il modo di riprendere il sentiero. Troviamo un pastore che ci indica la via per continuare, ma un lago ci separa dal proseguimento del viaggio. Faccio un tentativo di superamento costeggiando gli argini ed arrivo dall’altra parte, così decidiamo di portare dall’altra parte tutte le moto. Nel frattempo arrivano altri quattro italiani in moto che avevamo già incontrato sulla nave e si uniscono a noi fino a Moulares. Troviamo i primi tratti di sabbia. Le moto ed i piloti impazziscono nel tentativo di mantenere l’equilibrio., Sto per volare a terra, ma, per miracolo, riesco a restare in piedi. Quindi ricordo quello che mi hanno detto sulla guida su sabbia: in piedi sulle pedane, talloni bassi, peso arretrato sul codone, spalanco il gas e mi tengo leggero sul manubrio: magicamente inizio a galleggiare sulla sabbia. Sono solo piccoli assaggi. Nei giorni successivi ci saranno le vere prove del nove di guida su sabbia. A Moulares ci separiamo dagli altri quattro, che procederanno verso Tamerza, ed andiamo alla ricerca dell’inizio della famosa pista Rommel. Ci concediamo una breve sosta per mangiare una banana e bere un sorso d’acqua e poi si riparte. Scopriamo che l’inizio della pista è diventato una discarica a cielo aperto. Su una lingua di sabbia perdo l’equilibrio e vado a terra. Lo stivale mi protegge il piede, ma si taglia la sella, cosa che mi fa incazzare come una faina. La pista Rommel con i suoi suggestivi panorami riesce ad addolcirmi. Il tracciato è immerso in una vallata costituita da stranissime formazioni rocciose a guisa di canyon. All’orizzonte si vede luccicare il lago salato di Chott el Jerid. Lungo la strada incontriamo una coppia che era sulla nave, lui su Africa Twin e lei su DRZ. Si uniscono a noi sino all’inizio della superstrada che porta a Tozeur. All’imboccatura della statale ci separiamo dalla coppia di motociclisti e facciamo rotta verso Tozeur. Giungiamo in città a metà pomeriggio. Mi stupisce per la sua vitalità e per i suoi colori. Un sacco di negozi dai colori sgargianti e pieni di gente che chiacchiera si alternano ai caffé dove si accumulano le persone per giocare a carte. Sulla città spicca il minareto da cui il muezzin, subito prima del tramonto, lancia il suo richiamo ai fedeli. Ragiono sul fatto che nella cultura araba non esisteva l’orologio, in quanto il tempo veniva scandito dal Muezzin e dalla preghiera, cinque volte al giorno. Come nei racconti orientaleggianti in cui i personaggi si danno appuntamento durante la preghiera della sera, quando tutti sono riuniti a pregare e nessuno può origliare la loro conversazione…Tozeur è senza dubbio l’immagine di ciò che mi aspettavo di trovare nel Nord Africa. Ci mettiamo alla ricerca di un hotel, ma pare siano tutti al completo, sia per la stagione turistica che per il festival delle Oasi, che tuttavia non ho ben compreso cosa sia. Lascio il gruppo e parto con Sergio alla ricerca di una sistemazione per la notte e troviamo un simpatico alberghetto in centro per 35 TD a testa. Di certo la sistemazione più pulita di tutte quella sin ora visitate. Peccato che il portiere sia figlio di una gran paracula…Ci facciamo la doccia e poi a spasso per al cittadina. Andiamo a cena in un ristorante dal nome molto suggestivo: Le Petit Prince. Il locale è arredato con quadri fatti con la sabbia colorata che rappresentano la storia di Antoine de Saint Exupèry. Ci fanno accomodare ad un tavolo che si trova sotto il quadro che rappresenta l’incontro del Piccolo Principe con la Volpe, il simbolo dell’amicizia e dell’unicità dei rapporti tra le persone. Per la prima volta ho l’occasione di assaggiare la carne di dromedario: buonissima! Sembra un’ottima fiorentina. Cosa peculiare del locale è che servono vino tunisino. Non mi fa impazzire questo “Haute Mornag”, almeno è vino! Una bella luna tonda, piena e luminosa illumina la nottata, spuntando tra le palme. Dopo la cena mi viene il mal di collo e dovrò prendere il mio OKI della buona notte. Compro una bottiglia di acqua nella bottega vicino all’albergo per 0,5 TD e mi reco al bar dell’albergo a farmi prestare un bicchiere. Quando torno per restituirlo vengo bloccato da due tunisini ubriachi che vogliono fare due chiacchiere. Parlano un italiano masticato, ma con il mio francese stentato e tanta buona volontà riusciamo a capirci. Loro amano l’Italia e dicono che gli italiani sono brava gente. Lavorano come saldatori in un cantiere a Porto Marghera. Vorrebbero offrirmi da bere, ma gli spiego che ho appena preso la medicina e declino l’invito. In qualche modo riesco a staccarmi da loro e ad andare in stanza. Sto crollando dal sonno e domani mi aspetta il giro del lago salato di Chott El Jerid fino a Douz, e la maggior parte del percorso è in fuoristrada. A volte penso alla rosa che ho lasciato sul mio pianeta, ai vulcani inattivi e ai baobab che potrebbero invaderli. Poi penso che la rosa ha le sue spine per difendersi, i vulcani non erutteranno prima del mio ritorno ed il baobab non avranno tempo di infestare il mio pianeta in così poco tempo. Quindi torno alle volpi e ai geografi, re o uomini d’affari. Da qualche parte ci sarà una rosa, unica tra milioni di rose tutte uguali.
30/12/2009 Km 57099
Un sole caldo fa capolino tra le fessure delle finestre al risveglio. Preparo i bagagli e scendo a fare colazione mentre attendo che gli altri siano pronti. Amo questo momento di silenzio con la passione di una coppia di amanti, con il piacere furtivo di chi rischia di essere scoperto da un momento all’altro. Quando gli altri scendono carichiamo le moto e partiamo verso Nefta. Nella piccola cittadina facciamo benzina e scopro che la media si è abbassata notevolmente: 12 km/l! Imbocchiamo una pista lunghissima e tutta dritta che circumnaviga il lago salato ed invita ad aprire il gas sino ad arrivare ai resti della scenografia del Episodio IV di Star Wars, il primo ad essere uscito. Facciamo qualche foto accanto alla casa dei genitori adottivi di Luke Skywalker e poi riprendiamo il viaggio. Inizia un percorso che attraversa le distese di sale del lago, tutto dossi e completamente dritto. Metto la quinta e mi immedesimo nei piloti dei grandi rally africani. Comincio a saltare in uscita dai dossi, ad impennare su ogni asperità. Mi vedo in quei video con le riprese aere dei piloti. Mi diverto come un pazzo! Giada con il suo 950 Adventure (che sul cavalletto è più alto di lei) si diverte a fare qualche salto. Che dire…bel manico! Ci fermiamo in uno sperduto paesello di nome Ghidma per mangiare verso le due del pomeriggio. Diventiamo in breve gli idoli dei bambini del paese. Li facciamo salire sulle moto, indossare i caschi e sentire il rombo dei motori. Alla fine ci chiedono se abbiamo un quaderno…nessuno di noi ha nulla da regalargli purtroppo…Arriviamo a Douz verso sera ed impazziamo per trovare un posto per dormire. Le camere sono tutte occupate a causa del Festival internazionale del Sahara, che richiama tutti i popoli del deserto per quattro giorni per corse di dromedari, balli e canti tradizionali, oltre ad un consueto mercato. Alla fine alcuni amici motociclisti, con cui avevamo fatto un pezzo di strada il giorno prima, incontrati in città ci presentano un loro amico locale, tal Mahamoud, il quale ci offre alloggio a casa sua. Lungo la strada incontriamo tantissime persone a cavallo, con i dromedari, con carretti trainati da cavalli o muli o asini, tutti in processione verso il festival. Molti di essi indossano un pastrano di lana di cammello con tanto di cappuccio: ho trovato la tonaca dei guerrieri Jedi! Fatta la doccia vado in paese con Alessandro a comprare la birra per la cena. In due, senza casco, a bordo di Nerone, con una cassa di birra sul portapacchi sembriamo due scippatori. Passiamo una piacevole serata sulla terrazza della casa dove siamo ospitati, cenando, bevendo birra e chiacchierando. Domani ci attende la traversata del deserto da Douz a Ksar Ghilane. Meglio andare a dormire per essere ben riposati per le fatiche dell’indomani.
31/12/2009 Km 57331
L’ultimo giorno dell’anno inizia di prima mattina, quando lasciamo Douz per compiere la traversata nelle ore più fresche della giornata. Imbocchiamo la pista per Ksar Ghilane, un’oasi che si trova nella punta Nord del Grande Erg Orientale. Da subito il percorso si presenta ostico per noi, neofiti della sabbia. Giada dopo pochi metri cambia il suo 950 Adventure con la LC4 400 di Davide Fun che, gran pilota, porta il bisonte, non senza difficoltà, sino all’oasi. Finalmente il mio battesimo della sabbia. Seguo nuovamente le indicazioni degli amici per la guida sulla sabbia. Improvvisamente capisco a cosa serve la mia moto. Lei è nata per questo, come un pesce per stare nell’acqua. In piena estasi di moto e pilota, inizio a galleggiare sulla sabbia. Sergio con il suo 990 Adventure ha qualche problema e continua ad insabbiarsi a causa delle borse e del bagaglio eccessivo; torniamo spesso indietro ad aiutarlo ad uscire dalla sabbia e a risollevare la moto. Lungo il percorso incontriamo altri motociclisti e fuoristradisti su ogni mezzo: Jeep, Unimog, Defender, etc. Ci fermiamo al primo dei tre Caffè che fanno da waypoint sulla pista. Il Cafè “Port du Desert”, dove troviamo un signore con un pick-up che carica i bagagli di Sergio, Davide Fun, Davide, Giada ed Alessandro sino a Ksar Ghilane. Accanto al caffé c’è una tenda da cui esce un personaggio di cui abbiamo tutti sentito parlare nelle storie e che rappresenta l’immagine del deserto: un Tuareg. Alto, slanciato, con una tunica lunga sino ai piedi, il capo velato dal turbante che gli ha fatto meritare il soprannome di “uomini blu”. Un popolo berbero del Sahara, con una struttura sociale matrilineare di religione islamica, ma con alcune modifiche peculiari. Le donne hanno una libertà maggiore rispetto ad altre culture islamiche, e tra l'altro possono divorziare dal marito. Quando ciò si verifica, dal momento che le tende sono di proprietà della donna, l'ex-marito si ritrova senza un tetto e deve cercare ospitalità presso parenti di sesso femminile. Queste ed altre sono le note che caratterizzano questa popolazione nomade del deserto. Il Tuareg vende alcuni oggetti di artigianato che decido di acquistare. Tra questi un velo blu per coprirsi il capo secondo la tradizione. Il Tuareg mi mostra come indossare il turbante sulla testa e d’improvviso divento un nomade del deserto in piena regola. Dopo poco riprendiamo la pista e, nel pomeriggio, ci imbattiamo in un cordone di dunette alte circa tre metri l’una. Sergio trova difficoltà a superarle. Io stesso mi insabbio una volta. Come mi avevano spiegato butto la moto su un fianco, acchiappo i cerchi e la trascino fuori dalla sabbia molle, il fantomatico fesh-fesh, quindi la rialzo per ripartire. Per fare meno di un km la carovana impiega circa un’ora. Ripartiamo e prendiamo un ritmo più costante. Inizio a saltare con la moto sulla sabbia. Le dune sono strane. Da un lato salgono dolcemente, spazzate dal vento costante del deserto. Dall’altra sono tagliate e vanno giù a picco con dislivelli che variano dai cinquanta centimetri ai due metri. Salgo sulle dunette fuori dalla pista e mi trovo spesso a saltare sulla sabbia per superare il dislivello del lato tagliato delle dune. La cosa è estremamente divertente con la mia moto. Alla fine della giornata ci attende l’ultimo tratto di saliscendi sulla sabbia, evitando un gruppo di persone a cavallo ed alcuni piloti scriteriati a bordo dei quad. Arriviamo a Ksar Ghilane assolutamente provati dalla giornata di sabbia. All’ingresso dell’oasi c’è la famosa pozza di acqua calda dove la gente fa il bagno. Troviamo un sacco di amici e conoscenti arrivati per trascorrere l’ultimo dell’anno in mezzo al deserto. Troviamo alloggio in una tenda con brande e coperte. Un gruppo di coreani gira per il campo…sono arrivati anche qui. La cena è accompagnata dalla musica tradizionale intorno al fuoco fatto con la legna di palma. Un gruppo di sei musicisti neri vestiti di bianco con un gilet rosso e il fez, suonano flauti, tamburi e campanelli ballando tutti insieme. Ma sono troppo stanco per apprezzare e mi allontano verso la mia branda prima di mezzanotte. Mi addormento vestito verso le 11 e 30 e mi risveglio verso le quattro del mattino. Il campo è immerso in un silenzio magico. La luna piena splende luminosa tra le palme. Esco dalla tenda. Fa freddo. Dai 30 gradi del giorno la temperatura è scesa ai 2-4 gradi della notte. Faccio due passi fuori da Ksar Ghilane, lontano dalle luci dei campi per incontrare il deserto e la sua stellata. Mi trovo ad osservare un paesaggio mozzafiato. Tante, tantissime stelle si spartiscono con la luna il compito di illuminare il cielo della notte nel deserto. Le dune, gialle di giorno, nella notte si tingono di grigio tenue e di nero. Come una bestia feroce accovacciata, il deserto mi osserva, affascinante e pericoloso. Ricordo il Piccolo Principe nel deserto: “Non si vede e non si sente niente. Eppure qualche cosa risplende in silenzio... Ciò che abbellisce il deserto è che nasconde un pozzo in qualche luogo.” E ancora: "Sì, che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile". Ho avuto ciò che volevo da questo viaggio. Torno in tenda, mi spoglio, metto il sacco a pelo e mi infilo al calduccio, sognando traversate a bordo di dromedario tra le dune dormendo di giorno e viaggiando di notte, seguendo le antiche vie disegnate dalle stelle, in compagnia di un Tuareg.
01/01/2010 Km 57470
Stamane ce la prendiamo con calma. Faccio colazione e cambio il filtro dell’aria. Lavo la calza copri filtro con la benzina. L’Air Box ha accumulato un po’ di sabbia, ma la protezione ha retto bene ed il motore non ha mangiato la rena. Incontriamo gli amici che avevamo lasciato a Douz. Ci raccontano che hanno lasciato le moto a Douz ed hanno noleggiato dei motorini tunisini: Motobecane, Peugeot e MBK, i veri mezzi del deserto. Poi si sono fatti la traversata sulla sabbia…matti come cavalli! Ci fermiamo a fare benzina in un baracchino che ci versa il liquido nei serbatoi dalle taniche: un vero rifornimento da deserto. Imbocchiamo una pista che dopo poco diventa sabbiosa e, memori dell’esperienza del giorno prima, si decide di percorrere un sentiero più semplice per i due bicilindrici. Il paesaggio cambia. Mano a mano che ci allontaniamo dal deserto, la sabbia e le dune lasciano il posto alle rocce e alle pietraie. Giada crepa il serbatoio destro in una caduta. Davide Fun si adopera per una riparazione con il bicomponente e un pezzo di camera d’aria. Passiamo da Chenini, città che ha dato il nome ad una delle lune del pianeta di Luke Skywalker. Nella città ci sono le case troglodite e uno Ksar (un granaio) fortificato. La città è famosa anche per la Moschea dei Sette Dormienti, ma non andiamo a visitare nulla di tutto ciò e proseguiamo verso Tatatouine.Gli ultimi chilometri sono molto suggestivi e l’asfalto si snoda tra i canyon e le montagne dai toni cangianti alla luce del tramonto. E’ strano fare nuovamente asfalto dopo tutta quella sabbia. Arriviamo a Tatatouine a metà pomeriggio e troviamo alloggio in un albergo molto carino e pulito. La città in realtà è un borgo di quattro strade. La cosa più strana è che è pieno di barbieri e pasticcieri. Il dolce tipico è il “corno di gazzella”: una sorta di rotolo di noci, datteri e frutta secca con tanto miele. Anche oggi tutti a letto presto sfiniti.
02/01/2010 Km 57585
Lasciamo il paese facendo rotta verso Matmata. L’idea è quella di attraversare le montagne in fuoristrada cercando il percorso con il navigatore. Infatti dopo poco ci perdiamo in mezzo al nulla. Dopo varie ispezioni esplorative decidiamo che l’unica soluzione è abbattere un muretto di sassi, costruito a completamento di quella che sembra essere una diga o un argine. Tempo di abbattere il muretto ed appare un contadino berbero con degli occhi verdi di una bellezza inspiegabile a chiedere (in arabo) cosa stessimo facendo. Gli spieghiamo che ci siamo persi e che appena fossimo passati avremmo ricostruito il muretto. Sicché, una volta passati dall’altra parte, ci troviamo interpretare la parte di una squadra di muratori rumeni e ricostruiamo il muretto abbattuto poc’anzi. Dopo poco la strada ricompare e diventa un sentiero scorrevole e molto guidato. Dietro una curva, inspiegabilmente, mi si gira la moto e mi trovo a terra. Secondo la legge di Murphy mi si rompe l’unico pezzo che non avevo portato come ricambio: la pedalina sinistra del cambio. In qualche modo riesco ad ingranare la marcia ed arriviamo a Matmata. Nell’omonimo albergo passiamo la serata a giocare a UNO. Giada ha più culo che anima. Nel bagno dell’albergo trovo per la seconda volta nel viaggio l’asciugamano con una sgommata di merda.
03/01/2010 Km 57740
Oggi ci attende la lunga tappa verso Nord di avvicinamento a Tunisi. Tutti abbiamo la sensazione che sia trascorso almeno un mese da quando abbiamo lasciato l’Italia. Ci avviamo verso El Kef.Passiamo di nuovo da Gafsa. In una stazione di benzina smonto la leva del cambio e vado dal meccanico. Lui ripara solo gomme bucate. Gli spiego cosa voglio fare e mi indica di usare gli attrezzi. Blocco la leva in una morsa, con il trapano faccio un buco e poi chiedo al gommista dove posso trovare una ferramenta. Questo mi fa cenno di accompagnarlo. Attraversiamo la strada ed entriamo in una via secondaria. Varchiamo la porta di un capannone sgangherato e dentro vedo due torni e un tizio che sta lavorando con la fiamma ossidrica. Si spiegano in arabo, quindi bloccano la leva su una morsa, con un maschio filettano il buco che avevo fatto e poi infilano un dado con tanti bulloni. Rimonto la leva e provo la moto: perfetta. Con questa riparazione da tre dinari tornerò fino a Roma. I lavori da fare alla moto aumentano: cerchio anteriore, olio, filtri, leva del cambio, tubo del freno a disco anteriore destro da sostituire, sella da ricucire, protezione serbatoio sinistra da sostituire…vabbhè, avevo messo in contro la possibilità che succedesse qualcosa del genere. Ripartiamo verso El Kef, ma dopo poco lo stomaco brontola e facciamo tappa in un chiosco di kebab lungo il percorso. Ci devono essere delle scuole vicine vista la quantità di adolescenti in giro. Tre ragazze entrano nel negozietto e ordinano. Mentre aspettano ci guardano interessate e ridacchiano tra di loro. Faccio un sorriso alla meno brutta (quella senza baffi) e questa diventa rossa e ride con le amiche. Mangiamo il kebab sprezzanti del pericolo del cagotto in agguato e ripartiamo verso El Kef. Arriviamo nelle prossimità della città verso il tramonto che tinge di rosa le montagne che volgono verso l’Algeria. Ci avviciniamo con il tramonto alla sinistra e le ombre della moto che danzano sui muretti e sugli alberi alla destra. E fa freddo. La città appare alle luci della sera come una cascata di brillanti adagiata sul fianco di una montagna. Troviamo un hotel carino e con il riscaldamento. Qui fa davvero freddo! Vado in bagno e svelo il mistero delle sgommate di merda sugli asciugamani e dei tubi con il rubinetto accanto alle tazze del water. Bastava mettere in relazione le due cose. Credo che il tubo con il rubinetto sia la versione araba del bidet, ma non vedendo dove cade il getto d’acqua, al momento di asciugarsi può succedere di lasciare un ricordino sull’asciugamano. Questa scoperta mi farà mettere sul chi va la per ogni mio futuro viaggio in cui incontrerò il fantomatico tubo con il rubinetto! Cena, partita a UNO e poi a letto sotto 12 coperte con il termosifone a cannone.
04/01/2010 Km 58186
Il viaggio sta per finire. Ho ottenuto ciò che volevo: staccare del tutto con la mente dalla quotidianità, fare tanto fuoristrada e il battesimo della sabbia. Il Sahara sentirà ancora parlare di me e di Nerone. Lasciamo El Kef seguendo le indicazioni che ci hanno dato per visitare le terme romane. La strada si inerpica su una montagna nella foresta di El Kef e termina nelle prossimità delle rovine. Forse chiamarle rovine è riduttivo visto l’ottimo stato di conservazione delle piscine termali. Talmente ben conservato che si vede un bel pannello solare fare mostra sul tetto. Le terme danno su una romantica vallata con un fiume. Partiamo verso Tunisi e nel primo pomeriggio entriamo nel caos del traffico metropolitano per tornare allo stesso hotel della prima sera. Lasciamo le moto nel cortile e i bagagli in stanza, quindi prendiamo un taxi e andiamo alla Kasbah. Dalla piazza del governo entriamo nuovamente nei vicoli dell’antico mercato dove ci aveva guidati il curioso omino con la lanterna la prima sera. Variegati e variopinti negozi stracolmi di gente e turisti si accalcano uno sull’altro. I venditori richiamano dentro i loro regni offrendo te e mostrando tappeti, gioielli e souvenir. Finiamo a visitare la terrazza sopra uno dei negozi. I muri sono coperti di maioliche tinte con temi arabescati dai molti colori. Ogni tanto si intravede qualche lavorazione marmorea a memoria dei fasti del passato. Osserviamo il panorama della città dall’alto. E le sue contraddizioni. Davanti a noi gli antichi minareti di Tunisi danno bella mostra, mentre sotto di noi , sui tetti della Kasbah, si ammassano i condizionatori e le antenne paraboliche. Abbandoniamo la Kasbah ricolmi di souvenirs e regalini per gli amici. Passiamo l’ultima sera insieme tra le birre Celtia, la grappa di fico e le carte, quindi ci corichiamo per la notte pronti per lasciare l’Africa all’indomani.
05/01/2010 Km 58400
La mattina facciamo colazione insieme per l’ultima volta prima di salutarci. Appena partono gli altri, rimonto il DB Killer che avevo smontato in quello stesso cortile all’inizio del viaggio Accendo la moto e Nerone emette un suono soffocato, quasi triste. Il viaggio volge al termine. Carico i bagagli e mi getto nel traffico dove, non senza difficoltà, riesco a trovare la via per raggiungere il porto di “La Goulette”. Sbrigo le operazioni doganali per l’imbarco – stavolta molto più semplici che all’andata – e faccio amicizia con Vania e Giovanni, una coppia di simpatici fiorentini a bordo di un’Africa Twin. Sono al quarto viaggio in Tunisia.
06/01/2010 Km 58430
Il traghetto procede lento su un mare di olio verso la sua meta ed io rimugino sul viaggio, sui suoi significati e sui suoi insegnamenti. Quando attracca al porto saluto gli amici e percorro gli ultimi 70 km da Civitavecchia a Roma al trotto veloce. Alla fine il contachilometri totale segna 58511 km. Fine del viaggio sotto casa, salutando i negozianti e scaricando per l’ultima volta il bagaglio, il borsone da 50 litri che è stato il mio mondo in questo viaggio randagio.
tutte le foto si possono vedere qui:
http://picasaweb.google.it/psychopororomantico/Tunisia200910?authkey=Gv1sRgCP7Jpv7Y3p6-Iw#
http://picasaweb.google.it/tapporosso/Tunisia2010#
http://travel.webshots.com/album/576217983HFRxAv