Ecco qui il seguito del racconto del viaggio in Vespa in Grecia del 2004.
Martedì 10/08/04 Itea km.23.280 Smonto il campo di prima mattina e mi avvio a fare colazione nel bar del camping. Oggi mi sono messo i bermuda e la maglietta con i sandali in previsione del caldo del Sud. Mi cospargo di crema solare per evitare di scottarmi con il sole e compro una bottiglia di acqua per combattere il caldo torrido. Saluto l’amica francese mentre il custode notturno albanese e scomparso, inghiottito dalla notte e dai suoi misteri. Parto dunque alla volta della vecchia Corinto. Seguo una via che sale a strapiombo sul mare; la vespa trotta lungo le strade greche con il profumo del mare ed il rumore del motore e le grida dei gabbiani che volano sopra di me. Da Itea vado a Desfina, a Distamo, mi perdo in mezzo al nulla con la vespa e poi arrivo al meraviglioso monastero di Ossios Lukas. E’ costruito tutto di pietra e da su una vallata. Non ha nulla da invidiare alle Meteore visitate a Kalambaka. Da lì mi muovo verso Aghia Ana, poi Thisvi, Thiva,Erithres, Vilia ed arrivo, passando per una strada bellissima, in mezzo ad un bosco di eucalipti a strapiombo sul mare, alla località marittima di Alepocori. Qui mi fermo a mangiare souvlaki, spiedini di maiale arrosto, Dolmadhes, riso avvolto in foglie di vite e patatine fritte.Faccio due chiacchiere con una coppia di vicentini arrivati a bordo di un 4X4 e scopro che quelli che credevo essere eucalipti, sono in realtà Pini di Aleppo e che l’odore di menta è il profumo della pineta. Svelato il mistero della menta nei boschi, riparto in direzione di Megera. Il caldo si fa veramente insopportabile. Le braccia, salvate da un’ustione dalla crema solare , sono di un colore rosso cupo. Sudo senza posa e devo fermarmi ogni poco per bere; per fortuna che l’acqua è riparata dal sole e resta fresca! Imbocco la superstrada verso Corinto. Seguo le indicazioni per le rovine della vecchia città. La strada inizia a salire per qualche chilometro e Domitilla fatica ad avanzare, tanto che sono costretto a fare alcuni tratti in seconda. Arrivo in cime a trovo le rovine di Corinto la bella, Corinto la vecchia e capisco perché si sia mantenuta tanto a lungo la fama della grandiosità di questa città. Le mura, o meglio, i resti di queste, si stendono per qualche chilometro avvolgendo la città in un abbraccio protettivo. La strada per arrivare in cima alla rocca è molto ripida e devo farla a pedi e sotto il sole, non senza fatica. Dalla sommità della piazzaforte posso ammirare la città nella sua completa estensione, seguendo le mura e con un po’ d’immaginazione avvolto nel panorama che segna la linea dell’orizzonte. Per l’epoca in cui è stata costruita ed in cui conobbero splendore, doveva essere una città davvero imponente. Da lì scendo nuovamente verso il mare che vedevo dalla rocca, lo stesso che fu teatro di grandi traffici marittimi e memorabili naumachie. Mi fermo al camping “I Delfini”. Ovviamente non c’è traccia dei grandi mammiferi, ma il nome resta carino. Rispetto ad Itea cambia tutto: mare, vegetazione musica. E qui il caffè greco fa veramente schifo! Scendo a fare un tuffo rinfrescante nell’acqua dopo avere parcheggiato Domitilla all’ombra di un alberello vicino alla tenda. Finisco per addormentarmi sulla spiaggia stremato dal caldo e dall’intensa giornata vespistica. Mi sveglio di soprassalto disturbato dal mio stesso russare….in mezzo a sguardi stupidi e contraddetti di molte persone che stanno sulla spiaggia…ovvero: prima figura di cacca in Grecia! Al risveglio in ogni caso sto decisamente meglio. Il paesaggio era decisamente più bello sulla costa nord del golfo, dalla parte di Itea; speriamo che migliori domani scendendo verso Methana. Conosco due ragazzi al campeggio, di cui uno in vespa, che vengono da San Marino a vedere le Olimpiadi; alla sera usciamo insieme e andiamo a bere un caffè greco. La sorella gemella di Domitilla guidata dal ragazzo di San Marino è un modello di ultima generazione. Guardo prima l’una e poi l’altra. Una è tutta luccicante, piena di tecnologia; la mia vecchiettina luccica un po’ meno, è al suo secondo motore e l’unica tecnologia che si concede è la ruota di scorta. Non cambierei mai Domitilla per una vespa giovane: non avrebbe neppure un quarto dell’esperienza della mia rossa romana! Durante questo viaggio mi sto affezionando alla vespa, alla sua spartana semplicità, alle sue poche pretese ed ai suoi ritmi lenti. Fa parte di una visione del mondo, di una concezione del tempo e dello spazio che si stanno perdendo nelle ipertecnologiche motociclette del nuovo millennio, ma soprattutto nelle teste dei nuovi motociclisti. La moto sembra sempre più un mezzo per spostarsi dal punto A al punto B, perdendo la magia dell’aria aperta e la bellezza del paesaggio. Sto imparando la virtù della pazienza in modo indolore e piacevole. Ricordo un ragazzo musulmano con cui avevo lavorato come cameriere tempora. Nel Corano, diceva, c’è un passo in cui si afferma, in buona sostanza, che sapere aspettare è il sale della vita. Anche Hesse parlando di Shiddarta, recita di qualcosa di simile. Sotto un albero, immerso in meditazione, il Buddha viene chiamato da un uomo. L’uomo gli chiede quando sarebbe venuta la pioggia per le sue messi quando avrebbe pertanto potuto mangiare. Il Buddha gli rispose dicendo: -Sii saggio. Sappi pensare, digiunare, aspettare-. Il piacere di ogni cosa probabilmente è nella sua attesa e più questa è lunga, più sarà grande il piacere derivato dal conseguimento di quella. Sto aspettando di rivedere qualcuno e di ricevere qualcosa da questa persona. Il tempo che mi separa da lei è ciò che rende grande il mio desiderio. Poi, sia quel che sia, qualunque cosa avvenga, sarà sempre positiva, basta accontentarsi di ciò che si ha. Verrà poi l’attesa di qualcos’altro e, quando infine si avrà tutto, il piacere sarà talmente grande da cancellare ogni negatività. Il raggiungimento in seguito ad una lunga attesa e dunque il sale della vita? Ciò che la rende degna d’essere vissuta? I fondi del caffè si depositano alla maniera dei greci, ma continua ad essere un cattivo caffè. Ho aspettato. Non ho ottenuto ciò che speravo. Vorrà dire che cambierò bar. Sono sicuro che sia possibile trovare un buon caffè greco in tutta Corinto(km 310). Mercoledì 11/08/04 Corinto Km 23.589. La mattina scoprirò di avere messo malissimo la tenda per l’ennesima volta e pertanto vengo svegliato dal dio apollo a bordo del sua carro infuocato. Da Corinto mi muovo verso il teatro di Epidavro. Seguendo n percorso tutto sali scendi su strade a strapiombo sul mare, arrivo alla cittadina in cui ha sede il teatro. Lo trovo li, adagiato nella valle, ancora intatto. Mi domando come sia possibile dopo circa duemila ani…ancora si svolgono spettacoli in quell’antico palco. Deve essere qualcosa i magico assistere ad uno spettacolo o addirittura recitare in un teatro tanto antico. Da qui sono passati popoli e culture estremamente differenti dalla nostra. Ed il teatro è l’unica cosa che è sopravissuta. Ci sia un messaggio in tutto ciò? Mi allontano dal teatro con un trotto leggero tra le curve e gli aghi di pino che sono il tappeto di tutta la vallata nella direzione di Methana, un paese sul mare che dovrebbe avere un porto per andare verso una delle isole di fronte. Mi fermo a mangiare di fronte al porto. Pesce fritto, insalata greca, tzaziki e retsina…mi sento in paradiso! Il mare è lì a pochi metri che mi attende, instancabile amante. Anche qui si respira la tranquillità dei ritmi dimenticati. I colori ed il silenzio sono tutti in tonalità tranquille e rilassanti. I toni del silenzio…si possono percepire con l’attenzione e la passione di un marinaio . Ci sono silenzi imbarazzanti, silenzi dovuti ed altri che sono perché non possono essere altro. Qui il silenzio non è attanagliante, non opprimente, ma ti culla. E’ come guardare negli occhi senza parlare,senza il bisogno di dire nulla: basta lo sguardo per capirsi. Così è Methana. Non deve fare fragore o dare fastidio per farti capire che c’è e che non se ne andrà più dai tuoi ricordi. Non sarà facile scordare questo angolo di pace. Porto Domitilla sul molo , compro un biglietto per tutti e due per andare verso l’isola di Egina. Incontro un greco e comincio a farci due chiacchiere in inglese fino a che scopre che sono italiano. Dice che ho una pronuncia inglese perfetta (se doveva dire una cazzata poteva inventarsela migliore….) e non aveva capito che sono italiano. In un buon italiano mi racconta che ha vissuto a Roma. E qui abbiamo preso a parlare della città eterna e del mio quartiere e via dicendo. L’uomo mi parla di spiaggette isolate dalle parti di Aghia Marina, veri e propri angoli di paradiso. Il traghetto attracca sul molo e ci fa salire. Non appena a bordo conosco due harleysti bergamaschi con cui faccio amicizia e decido di andare con loro alla ricerca della leggendaria spiaggia solitaria. Questa fa la sua apparizione dietro un canneto alla fine di un sentiero sterrato. A trecento metri ‘è un piccolo porto di pescatori con le loro piccole barche ormeggiate e nessun marinaio. Mi immergo con maschera e boccaglio e vedo tutti i colori possibili in quel mare rigoglioso di vita. Pesciolini di varie dimensioni e colori nuotano e fanno compagnia agli onnipresenti ricci di mare nascosti tra le rocce. Mi addormento sulla spiaggia cullato dal rumore delle onde. Dopo un paio mi sveglio e trovo un biglietto dei bergamaschi. Sono andati via di corsa per non perdere l’ultimo traghetto e mi lasciano un cellulare per beccarci nel peloponneso. Sono bloccato sull’isola. Guardo il sole nel suo tufo rituale nel mare e nell’orizzonte e poi torno al porticciolo di Egina. Faccio un minimo di spesa e poi scopro che parte un traghetto per l’isoletta di Agistri. Compro il biglietto e mi imbarco. Scendo su un’isola minuscola tutta verde con spiagge bianche e mare verde. Chiedo per un camping e mi dicono che non ce ne sono, così faccio rotta verso l’unica altra città dell’isola, Limenaria. Ad un certo punto decido di prendere una stradina sulla sinistra e comincio a salire al calare della notte. Ed è in una notte di luna nera che scopro la più grossa pecca di Domitilla: il faro ha una funzione puramente ornamentale. Lungo la strada vedo un sacco di animali morti investiti, di santuarietti che ricordano qualcuno che si è schiantato. Istintivamente la mia mano passa dalla frizione agli zebedei, in un antico rituale scaramantico. Per strada incontro un folle a bordo di una mula, quasi non lo vedevo. Accendesse il faro posteriore sulla mula! Sono sicuro che fosse una mula. Gli chiedo due indicazioni e questo in un inglese che mi lascia attonito per quanto è ben pronunciato, dice che la strada finisce in una spiaggia sul mare dove non c’è nulla. Tanto non posso tornare indietro, tenda, sacco a pelo e viveri li ho, quindi proseguo. Arrivo nella spiaggia all’imbrunire. Raccolgo un po’ di ceppi dalla spiaggia, faccio una buca nella sabbia e accendo un fuoco, memore di un passato da boy scout. Alla tenue luce del fuoco che sta nascendo monto la tenda a distanza di sicurezza, srotolo sacco a pelo e materassino e preparo il necessario per mangiare. Mangio avvolto in un’atmosfera magica. Alle spalle il bosco e la tenda, davanti il mare, a destra Domitilla e alla sinistra il fuoco. Ci sono momenti che si vivono per tutta la vita: questo è uno di quelli. Finita la cena, preparo un nescafè, giro una sigaretta e, con lo sguardo di un vecchio cowboy perso nel far west dopo avere rigovernato la mandria, guardo il mare. Per un momento rimango sgomento immaginando la situazione da fuori…Forse dovrei avere paura, in definitiva sono solo su un’isola sconosciuta e non lo sa nessuno. Se mi succede qualcosa ci potrebbero volere molti giorni prima che si scopra o che mi giunga aiuto. Invece sono tranquillissimo. Una pace innaturale mi pervade. Poco prima di coricarmi recito il sutra del loto. Penso che c’è tutto l’occorrente: il fuoco che arde, il mare che fa la parte dell’acqua, la foresta al posto del sempreverde, un pomodoro come offerta…manca il gohonzon, ma tanto quello non ce l’ho comunque e quindi non cambia nulla. (km244, con vecchio greco e due bergamaschi). Giovedì 12/08/04 Agistri km. 23.834. Mi sveglio come solito con i raggi del sole. Appena esco dalla tenda mi trovo in paradiso. Apro la mortadella tenda e vedo una spiaggia bianca inondata dai raggi del sole, un mare verde con l’acqua trasparente e la foresta alle spalle. Il fuoco si è spento e le braci vengono ecologicamente seppellite con la sabbia. Smonto tutto e mi accingo a vivere il mio ultimo giorno in Grecia. Torno ad Agisti e faccio colazione mentre aspetto il traghetto. Da Egina prendo il traghetto verso Methana dove chiamo Davide e Sabrina, i due bergamaschi del giorno prima e decidiamo di vederci a Naflio. Da lì ci muoviamo con calma verso Lerni, la città dell’Idra e poi arriviamo ad Argo, la città del mostro dai cento occhi che sono ora sulla coda del pavone, per mangiare. Il destino ci serve oggi polipo ai ferri e studiamo le tappe del viaggio. Loro scenderanno verso Tripoli e ancora a sud nel Peloponneso meridionale, mentre io mi dirigo a Nemea, la città del leone, e poi giù fino a Kiatos, sul mare. Lungo la strada, orribile, che porta verso Kiatos, perdo la cartina geografica della Grecia. Peccato, ci ero affezionato. Mi fermo ad ammirare la città di Corinto dall’alto all’ombra di un pino di Aleppo. Arrivato a Kiatos non riesco a trovare il camping, quindi mi vedo costretto a tornare al campeggio dei “Delfini” dove ero già stato un paio di giorni prima. Anche stasera sono veramente stanco e, memore dello schifoso caffè che mi avevano servito la volta precedente, rinuncio al piccolo piacere serale. Patrasso dista solamente 130 km tutti di superstrada. La vacanza e il viaggio sono praticamente finiti. Domani sera mi imbarcherò per Ancona dove arriverò verso l’una del giorno dopo. Da lì dovrò galoppare fino a Castellina Marittima prima che scenda l’oscurità: non voglio trovarmi nuovamente con Domitilla ed il suo faretto ornamentale nel profondo buio della Toscana. Sabato sera sarò sotto le stelle ad ascoltare un po’ di musica. Colei che mi ha fatto compagnia per tutto il viaggio nei miei pensieri, canterà canzoni che non potrò dimenticare. Nascerà la luna nuova la notte del concerto. Almeno credo. Qui in Grecia Sabato ci sarà un quarto di luna nascente quel giorno. Spero che almeno questo unisca Peloponneso e Toscana oltre ai freschi ricordi di questo viaggio in solitaria con Domitilla (km 249). Venerdì 13/08/04 Korinto km 24.085 Parto senza troppa fretta alla volta di Patra dove mi imbarcherò alle quattro del pomeriggio. Il viaggio sta per finire e sono un po’ triste. All’imbarco faccio amicizia con due coppie, una di Padova e l’altra di Saronno, che mi faranno compagnia per tutto il viaggio fino ad Ancona. Dietro la murata della nave, dal ponte superiore, vedo scomparire le coste della Grecia, il Peloponneso a sud e l’Epiro a nord. Lascio ricordi meravigliosi e la promessa di tornare (km 246).
Martedì 10/08/04 Itea km.23.280 Smonto il campo di prima mattina e mi avvio a fare colazione nel bar del camping. Oggi mi sono messo i bermuda e la maglietta con i sandali in previsione del caldo del Sud. Mi cospargo di crema solare per evitare di scottarmi con il sole e compro una bottiglia di acqua per combattere il caldo torrido. Saluto l’amica francese mentre il custode notturno albanese e scomparso, inghiottito dalla notte e dai suoi misteri. Parto dunque alla volta della vecchia Corinto. Seguo una via che sale a strapiombo sul mare; la vespa trotta lungo le strade greche con il profumo del mare ed il rumore del motore e le grida dei gabbiani che volano sopra di me. Da Itea vado a Desfina, a Distamo, mi perdo in mezzo al nulla con la vespa e poi arrivo al meraviglioso monastero di Ossios Lukas. E’ costruito tutto di pietra e da su una vallata. Non ha nulla da invidiare alle Meteore visitate a Kalambaka. Da lì mi muovo verso Aghia Ana, poi Thisvi, Thiva,Erithres, Vilia ed arrivo, passando per una strada bellissima, in mezzo ad un bosco di eucalipti a strapiombo sul mare, alla località marittima di Alepocori. Qui mi fermo a mangiare souvlaki, spiedini di maiale arrosto, Dolmadhes, riso avvolto in foglie di vite e patatine fritte.Faccio due chiacchiere con una coppia di vicentini arrivati a bordo di un 4X4 e scopro che quelli che credevo essere eucalipti, sono in realtà Pini di Aleppo e che l’odore di menta è il profumo della pineta. Svelato il mistero della menta nei boschi, riparto in direzione di Megera. Il caldo si fa veramente insopportabile. Le braccia, salvate da un’ustione dalla crema solare , sono di un colore rosso cupo. Sudo senza posa e devo fermarmi ogni poco per bere; per fortuna che l’acqua è riparata dal sole e resta fresca! Imbocco la superstrada verso Corinto. Seguo le indicazioni per le rovine della vecchia città. La strada inizia a salire per qualche chilometro e Domitilla fatica ad avanzare, tanto che sono costretto a fare alcuni tratti in seconda. Arrivo in cime a trovo le rovine di Corinto la bella, Corinto la vecchia e capisco perché si sia mantenuta tanto a lungo la fama della grandiosità di questa città. Le mura, o meglio, i resti di queste, si stendono per qualche chilometro avvolgendo la città in un abbraccio protettivo. La strada per arrivare in cima alla rocca è molto ripida e devo farla a pedi e sotto il sole, non senza fatica. Dalla sommità della piazzaforte posso ammirare la città nella sua completa estensione, seguendo le mura e con un po’ d’immaginazione avvolto nel panorama che segna la linea dell’orizzonte. Per l’epoca in cui è stata costruita ed in cui conobbero splendore, doveva essere una città davvero imponente. Da lì scendo nuovamente verso il mare che vedevo dalla rocca, lo stesso che fu teatro di grandi traffici marittimi e memorabili naumachie. Mi fermo al camping “I Delfini”. Ovviamente non c’è traccia dei grandi mammiferi, ma il nome resta carino. Rispetto ad Itea cambia tutto: mare, vegetazione musica. E qui il caffè greco fa veramente schifo! Scendo a fare un tuffo rinfrescante nell’acqua dopo avere parcheggiato Domitilla all’ombra di un alberello vicino alla tenda. Finisco per addormentarmi sulla spiaggia stremato dal caldo e dall’intensa giornata vespistica. Mi sveglio di soprassalto disturbato dal mio stesso russare….in mezzo a sguardi stupidi e contraddetti di molte persone che stanno sulla spiaggia…ovvero: prima figura di cacca in Grecia! Al risveglio in ogni caso sto decisamente meglio. Il paesaggio era decisamente più bello sulla costa nord del golfo, dalla parte di Itea; speriamo che migliori domani scendendo verso Methana. Conosco due ragazzi al campeggio, di cui uno in vespa, che vengono da San Marino a vedere le Olimpiadi; alla sera usciamo insieme e andiamo a bere un caffè greco. La sorella gemella di Domitilla guidata dal ragazzo di San Marino è un modello di ultima generazione. Guardo prima l’una e poi l’altra. Una è tutta luccicante, piena di tecnologia; la mia vecchiettina luccica un po’ meno, è al suo secondo motore e l’unica tecnologia che si concede è la ruota di scorta. Non cambierei mai Domitilla per una vespa giovane: non avrebbe neppure un quarto dell’esperienza della mia rossa romana! Durante questo viaggio mi sto affezionando alla vespa, alla sua spartana semplicità, alle sue poche pretese ed ai suoi ritmi lenti. Fa parte di una visione del mondo, di una concezione del tempo e dello spazio che si stanno perdendo nelle ipertecnologiche motociclette del nuovo millennio, ma soprattutto nelle teste dei nuovi motociclisti. La moto sembra sempre più un mezzo per spostarsi dal punto A al punto B, perdendo la magia dell’aria aperta e la bellezza del paesaggio. Sto imparando la virtù della pazienza in modo indolore e piacevole. Ricordo un ragazzo musulmano con cui avevo lavorato come cameriere tempora. Nel Corano, diceva, c’è un passo in cui si afferma, in buona sostanza, che sapere aspettare è il sale della vita. Anche Hesse parlando di Shiddarta, recita di qualcosa di simile. Sotto un albero, immerso in meditazione, il Buddha viene chiamato da un uomo. L’uomo gli chiede quando sarebbe venuta la pioggia per le sue messi quando avrebbe pertanto potuto mangiare. Il Buddha gli rispose dicendo: -Sii saggio. Sappi pensare, digiunare, aspettare-. Il piacere di ogni cosa probabilmente è nella sua attesa e più questa è lunga, più sarà grande il piacere derivato dal conseguimento di quella. Sto aspettando di rivedere qualcuno e di ricevere qualcosa da questa persona. Il tempo che mi separa da lei è ciò che rende grande il mio desiderio. Poi, sia quel che sia, qualunque cosa avvenga, sarà sempre positiva, basta accontentarsi di ciò che si ha. Verrà poi l’attesa di qualcos’altro e, quando infine si avrà tutto, il piacere sarà talmente grande da cancellare ogni negatività. Il raggiungimento in seguito ad una lunga attesa e dunque il sale della vita? Ciò che la rende degna d’essere vissuta? I fondi del caffè si depositano alla maniera dei greci, ma continua ad essere un cattivo caffè. Ho aspettato. Non ho ottenuto ciò che speravo. Vorrà dire che cambierò bar. Sono sicuro che sia possibile trovare un buon caffè greco in tutta Corinto(km 310). Mercoledì 11/08/04 Corinto Km 23.589. La mattina scoprirò di avere messo malissimo la tenda per l’ennesima volta e pertanto vengo svegliato dal dio apollo a bordo del sua carro infuocato. Da Corinto mi muovo verso il teatro di Epidavro. Seguendo n percorso tutto sali scendi su strade a strapiombo sul mare, arrivo alla cittadina in cui ha sede il teatro. Lo trovo li, adagiato nella valle, ancora intatto. Mi domando come sia possibile dopo circa duemila ani…ancora si svolgono spettacoli in quell’antico palco. Deve essere qualcosa i magico assistere ad uno spettacolo o addirittura recitare in un teatro tanto antico. Da qui sono passati popoli e culture estremamente differenti dalla nostra. Ed il teatro è l’unica cosa che è sopravissuta. Ci sia un messaggio in tutto ciò? Mi allontano dal teatro con un trotto leggero tra le curve e gli aghi di pino che sono il tappeto di tutta la vallata nella direzione di Methana, un paese sul mare che dovrebbe avere un porto per andare verso una delle isole di fronte. Mi fermo a mangiare di fronte al porto. Pesce fritto, insalata greca, tzaziki e retsina…mi sento in paradiso! Il mare è lì a pochi metri che mi attende, instancabile amante. Anche qui si respira la tranquillità dei ritmi dimenticati. I colori ed il silenzio sono tutti in tonalità tranquille e rilassanti. I toni del silenzio…si possono percepire con l’attenzione e la passione di un marinaio . Ci sono silenzi imbarazzanti, silenzi dovuti ed altri che sono perché non possono essere altro. Qui il silenzio non è attanagliante, non opprimente, ma ti culla. E’ come guardare negli occhi senza parlare,senza il bisogno di dire nulla: basta lo sguardo per capirsi. Così è Methana. Non deve fare fragore o dare fastidio per farti capire che c’è e che non se ne andrà più dai tuoi ricordi. Non sarà facile scordare questo angolo di pace. Porto Domitilla sul molo , compro un biglietto per tutti e due per andare verso l’isola di Egina. Incontro un greco e comincio a farci due chiacchiere in inglese fino a che scopre che sono italiano. Dice che ho una pronuncia inglese perfetta (se doveva dire una cazzata poteva inventarsela migliore….) e non aveva capito che sono italiano. In un buon italiano mi racconta che ha vissuto a Roma. E qui abbiamo preso a parlare della città eterna e del mio quartiere e via dicendo. L’uomo mi parla di spiaggette isolate dalle parti di Aghia Marina, veri e propri angoli di paradiso. Il traghetto attracca sul molo e ci fa salire. Non appena a bordo conosco due harleysti bergamaschi con cui faccio amicizia e decido di andare con loro alla ricerca della leggendaria spiaggia solitaria. Questa fa la sua apparizione dietro un canneto alla fine di un sentiero sterrato. A trecento metri ‘è un piccolo porto di pescatori con le loro piccole barche ormeggiate e nessun marinaio. Mi immergo con maschera e boccaglio e vedo tutti i colori possibili in quel mare rigoglioso di vita. Pesciolini di varie dimensioni e colori nuotano e fanno compagnia agli onnipresenti ricci di mare nascosti tra le rocce. Mi addormento sulla spiaggia cullato dal rumore delle onde. Dopo un paio mi sveglio e trovo un biglietto dei bergamaschi. Sono andati via di corsa per non perdere l’ultimo traghetto e mi lasciano un cellulare per beccarci nel peloponneso. Sono bloccato sull’isola. Guardo il sole nel suo tufo rituale nel mare e nell’orizzonte e poi torno al porticciolo di Egina. Faccio un minimo di spesa e poi scopro che parte un traghetto per l’isoletta di Agistri. Compro il biglietto e mi imbarco. Scendo su un’isola minuscola tutta verde con spiagge bianche e mare verde. Chiedo per un camping e mi dicono che non ce ne sono, così faccio rotta verso l’unica altra città dell’isola, Limenaria. Ad un certo punto decido di prendere una stradina sulla sinistra e comincio a salire al calare della notte. Ed è in una notte di luna nera che scopro la più grossa pecca di Domitilla: il faro ha una funzione puramente ornamentale. Lungo la strada vedo un sacco di animali morti investiti, di santuarietti che ricordano qualcuno che si è schiantato. Istintivamente la mia mano passa dalla frizione agli zebedei, in un antico rituale scaramantico. Per strada incontro un folle a bordo di una mula, quasi non lo vedevo. Accendesse il faro posteriore sulla mula! Sono sicuro che fosse una mula. Gli chiedo due indicazioni e questo in un inglese che mi lascia attonito per quanto è ben pronunciato, dice che la strada finisce in una spiaggia sul mare dove non c’è nulla. Tanto non posso tornare indietro, tenda, sacco a pelo e viveri li ho, quindi proseguo. Arrivo nella spiaggia all’imbrunire. Raccolgo un po’ di ceppi dalla spiaggia, faccio una buca nella sabbia e accendo un fuoco, memore di un passato da boy scout. Alla tenue luce del fuoco che sta nascendo monto la tenda a distanza di sicurezza, srotolo sacco a pelo e materassino e preparo il necessario per mangiare. Mangio avvolto in un’atmosfera magica. Alle spalle il bosco e la tenda, davanti il mare, a destra Domitilla e alla sinistra il fuoco. Ci sono momenti che si vivono per tutta la vita: questo è uno di quelli. Finita la cena, preparo un nescafè, giro una sigaretta e, con lo sguardo di un vecchio cowboy perso nel far west dopo avere rigovernato la mandria, guardo il mare. Per un momento rimango sgomento immaginando la situazione da fuori…Forse dovrei avere paura, in definitiva sono solo su un’isola sconosciuta e non lo sa nessuno. Se mi succede qualcosa ci potrebbero volere molti giorni prima che si scopra o che mi giunga aiuto. Invece sono tranquillissimo. Una pace innaturale mi pervade. Poco prima di coricarmi recito il sutra del loto. Penso che c’è tutto l’occorrente: il fuoco che arde, il mare che fa la parte dell’acqua, la foresta al posto del sempreverde, un pomodoro come offerta…manca il gohonzon, ma tanto quello non ce l’ho comunque e quindi non cambia nulla. (km244, con vecchio greco e due bergamaschi). Giovedì 12/08/04 Agistri km. 23.834. Mi sveglio come solito con i raggi del sole. Appena esco dalla tenda mi trovo in paradiso. Apro la mortadella tenda e vedo una spiaggia bianca inondata dai raggi del sole, un mare verde con l’acqua trasparente e la foresta alle spalle. Il fuoco si è spento e le braci vengono ecologicamente seppellite con la sabbia. Smonto tutto e mi accingo a vivere il mio ultimo giorno in Grecia. Torno ad Agisti e faccio colazione mentre aspetto il traghetto. Da Egina prendo il traghetto verso Methana dove chiamo Davide e Sabrina, i due bergamaschi del giorno prima e decidiamo di vederci a Naflio. Da lì ci muoviamo con calma verso Lerni, la città dell’Idra e poi arriviamo ad Argo, la città del mostro dai cento occhi che sono ora sulla coda del pavone, per mangiare. Il destino ci serve oggi polipo ai ferri e studiamo le tappe del viaggio. Loro scenderanno verso Tripoli e ancora a sud nel Peloponneso meridionale, mentre io mi dirigo a Nemea, la città del leone, e poi giù fino a Kiatos, sul mare. Lungo la strada, orribile, che porta verso Kiatos, perdo la cartina geografica della Grecia. Peccato, ci ero affezionato. Mi fermo ad ammirare la città di Corinto dall’alto all’ombra di un pino di Aleppo. Arrivato a Kiatos non riesco a trovare il camping, quindi mi vedo costretto a tornare al campeggio dei “Delfini” dove ero già stato un paio di giorni prima. Anche stasera sono veramente stanco e, memore dello schifoso caffè che mi avevano servito la volta precedente, rinuncio al piccolo piacere serale. Patrasso dista solamente 130 km tutti di superstrada. La vacanza e il viaggio sono praticamente finiti. Domani sera mi imbarcherò per Ancona dove arriverò verso l’una del giorno dopo. Da lì dovrò galoppare fino a Castellina Marittima prima che scenda l’oscurità: non voglio trovarmi nuovamente con Domitilla ed il suo faretto ornamentale nel profondo buio della Toscana. Sabato sera sarò sotto le stelle ad ascoltare un po’ di musica. Colei che mi ha fatto compagnia per tutto il viaggio nei miei pensieri, canterà canzoni che non potrò dimenticare. Nascerà la luna nuova la notte del concerto. Almeno credo. Qui in Grecia Sabato ci sarà un quarto di luna nascente quel giorno. Spero che almeno questo unisca Peloponneso e Toscana oltre ai freschi ricordi di questo viaggio in solitaria con Domitilla (km 249). Venerdì 13/08/04 Korinto km 24.085 Parto senza troppa fretta alla volta di Patra dove mi imbarcherò alle quattro del pomeriggio. Il viaggio sta per finire e sono un po’ triste. All’imbarco faccio amicizia con due coppie, una di Padova e l’altra di Saronno, che mi faranno compagnia per tutto il viaggio fino ad Ancona. Dietro la murata della nave, dal ponte superiore, vedo scomparire le coste della Grecia, il Peloponneso a sud e l’Epiro a nord. Lascio ricordi meravigliosi e la promessa di tornare (km 246).
1 commento:
"La moto sembra sempre più un mezzo per spostarsi dal punto A al punto B, perdendo la magia dell’aria aperta e la bellezza del paesaggio. Sto imparando la virtù della pazienza in modo indolore e piacevole". Nulla di più vero amico mio. Non per nulla mi sono fatto e mi tengo un ciak 125 ;))
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